Marco Giusti per Dagospia
emilio sakraya
Festa del Cinema di Roma. Finalmente si rappa e si mena. Alla faccia dei gangsta rapper di casa nostra dei loro video e delle loro bravate, in “Rheingold”, cioè “L’oro del Reno”, il celebrato regista turco-tedesco Fatih Akin mette in scena con la giusta grinta e un grande protagonista bono e di mano lesta, Emilio Sakraya, la vita avventurosa di un vero rapper criminale, Giwar Hajabi detto “Xatar”, autore nel 2015 dell’autobiografia che racconta tutto l’arco della sua epopea.
Un filmone, insomma, che si apre nel 2011 in una prigione siriana, dove il curdo-tedesco Giwar è stato rinchiuso assieme a tanti prigionieri politici, siriani e curdi, e ai due suoi amici e complici. Viene subito torchiato e torturato dalla polizia siriana che vogliono sapere da lui dove è finito l’oro. Sì, come “L’oro del reno” wagneriano, nascosto chissà dove.
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E lì parte il lungo flashback che ci porta dritti al punto di partenza. L’oppressione di Komheini nel 1979 della minoranza curda che spinge il padre, il compositore classico Eghbal, Kardo Razzari, e la madre, Mona Pirzad, alla rivolta e alla fuga in Europa. Giwar nasce proprio sotto le bombe, cresce nelle carceri di Komheini e fortunosamente arriva con la famiglia in Germania, a Bonn, dove il padre sogna di fare di lui un musicista.
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Diventerà invece, dopo che il padre ha lasciato la moglie per una bella violoncellista, un ragazzo di strada, pronto allo spaccio e alla violenza. Contemporaneamente alla sua crescita culturale, si fa degli amici profughi di nazionalità diverse, impara a menare da professionista, e si innamora del rap, come i vari Piotta e G Max di casa nostra. Come in tanti film di gangster anni ’30 e ’40, entra e esce dal gabbio, e si muove nello spaccio di coca tra la Germania, dove lo aspetta la prigione, e una violentissima Amsterdam.
Mettendosi nei guai per aver perso mezzo milione di cocaina liquida, farà un colpo grosso, oro!, per rendere i soldi al potente boss zio del suo amico Miran. Ma, in cuor suo, come tanti rapper, è rimasto un bravo ragazzo, ha sempre amato una sola pischella, la vicina Shirin, ha sempre adorata la mamma, e quando finisce in carcere inizia a fare musica e a incidere dischi.
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Non sapete il piacere di vedere un film europeo fuori dagli stereotipi del cinema borghese italiano, pieno di azione e di musica. Una sorta di “Gomorra” meno teatrale e shakesperiano, anche meno triste e disperato, dominato da questo interessante Emilio Sakraya, di origini serbo-marocchine, campione di full contact, bel modello di star europea anti-salviniana.
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