Paolo Mereghetti per il "Corriere della Sera"
paolo mereghetti
Che a Roma si sia aperta una «festa» e non un «festival» lo si capisce da tante cose: il cielo azzurro, l'allegria diffusa, le scolaresche che affollano le proiezioni. Ma è soprattutto un particolare che cancella la vera essenza del festival: non certo la qualità dei film presentati (che spesso oscillano anche nelle rassegne più blasonate) ma la fondamentale possibilità di scegliere il posto in cui sedersi.
Lo sanno anche i sassi che non tutti i posti sono uguali e che ogni cinefilo ha il suo sedile d'elezione. Chi in prima fila per farsi fagocitare dallo schermo e chi nell'ultima, chi al centro della platea e chi di lato.
L'esempio aureo è quello di Jacques Rivette, il «Saint-Just della cinefilia» per dirla con Godard, che si sedeva sempre nella stessa poltrona alla Cinémathèque (a sinistra dello schermo, davanti ma non troppo) e preferiva uscire se trovava il «suo posto» già occupato. Non è follia, è la giusta distanza (e la giusta angolazione) che un film richiede per essere davvero apprezzato. Ma la libertà di questa scelta alla festa di Roma non si può fare.
algoritmo posto cinema - festa cinema
Le regole imposte dalla pandemia hanno costretto a prenotare il posto, ma il sistema non permette di scegliere e fa tutto da solo: il cervellone decide il posto secondo quella che considera in quel momento l'opzione più conveniente. Il problema è che la «convenienza» non è quella dello spettatore ma quella dell'ennesimo algoritmo che sceglie al nostro posto. E vedere un film dalla poltrona algoritmicamente «più conveniente» rischia di non essere conveniente proprio al piacere che vorremmo ritrovare andando al cinema.
LA RISPOSTA DI MARCO GIUSTI
Marco Giusti per Dagospia
sala cinema
Festa del cinema di Roma. La vera notizia della Festa del Cinema di Roma, ultima della serie Monda, in scadenza il 28 ottobre, soprattutto se diventa sindaco Gualtieri cioè Bettini, non è né la scomparsa del porchettaro né le lacrime di Jessica Chastain né la mancanza di Galliano Juso al baretto (ma magari arriva…), per non parlare della presenza di un qualche film italiano di qualche peso, vedi “Freaks Out” di Manetti, che sarebbe stato molto meglio qui a Venezia, o l’”Ennio” di Tornatore, lungo documentario dedicato a Morricone, buttato via negli ultimi giorni della Venezia sprecona di Barbera, e qui sarebbe stato un evento, no.
marco giusti
La vera notizia è il fatto, come giustamente segnala Paolo Mereghetti, che i critici, soprattutto i critici attempati come me e lui, non possono scegliersi le loro poltrone né col vecchio metodo al chi entra prima meglio alloggia o con il più recente sistema del boxol, cioè con la scelta 48 ore prima del posto. Cosa già complicatissima che mi ha mandato in tilt più volte in quel di Venezia, per incapacità mia di adeguarmi alle nuove tecnologie. Quest’anno a Roma siamo andati ancora avanti. Malgrado l’apertura franceschiniana alla capienza nelle sale del 100%, quindi senza distanziamento, il posto non lo puoi più scegliere te come vuoi, ma te lo sceglie direttamente boxol con l’algoritmo e non puoi dire nulla. Ci fosse Carlo Freccero avrebbe già urlato al complotto da grande reset.
Ora, tutti i critici, anzi, tutti i vecchi critici hanno un loro posto feticcio, è vero. E capisco bene Mereghetti, che ha esternato oggi alla Freccero in nome della libertà di avere il proprio “sedile d’elezione”. Anche se per la prima volta, l’algoritmo mi ha dato stamane proprio un posto centrale che era più da Mereghetti che da Marco Giusti, io vado sempre molto avanti sotto lo schermo alla Ungari-Melani.
cinema
Francamente, non ci faccio più caso, e in generale credo che la scelta del posto feticcio sia un’anticaglia da critici del paleolitico, ricordo il vecchio Pietrino Bianchi direttamente sotto lo schermo a vedere un film mongolo e scoprì che non era affatto nuovo, ma vecchio di trent’anni, ricordo Giovanni Grazzini che si addormentava spesso, anche sulle sedie di legno, e un anno, a Pesaro, cadde per terra e seguitò a dormire senza svegliarsi. Ma già la scelta se mettersi a destra o a sinistra è qualcosa di fondamentale per un critico, soprattutto quando, per motivi di prostata, sarà meglio che si avvicini il più possibile al bagno. Ma quella del posto preferito è una tradizione nata con la visione selvaggia da cinefili post-nouvellevaguisti che proseguiva anche nelle visioni dei meravigliosi post-telegrafonici di provincia. Avendo vissuto in quasi tutte le città d’Italia negli anni ’60 e ’70, conoscevo anche tutte le sale e i loro segreti.
CARLO FRECCERO
Purtroppo però, il sedile d’elezione andrebbe ricercato per vedere i film d’elezione della nostra giovinezza, tornando indietro nel tempo, ricordo perfettamente dove vidi per la prima volta in 70mm “Lawrence d’Arabia” o “Karthoum”, e non per vedere quel che passa il convento oggi, in queste sale spesso senza storia.
Per quanto possa essere pronto a protestare contro la dittatura degli algoritmi e di boxol, se siamo al 100% non serve più a niente suvvia, mi sembra che sia una battaglia frecceriana di retroguardia. Detto questo, dal posto di Mereghetti, che ho davvero ingiustamente occupato, si vedeva benissimo il film.
paolo mereghetti