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    IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - CERTO CHE LA VITTI È UN MISTERO. E’ LA PRIMA DONNA COMICA CHE ABBIAMO AVUTO E L’UNICA CHE SIA RIUSCITA A PASSARE INCREDIBILMENTE INDENNE DAL CINEMA SUPERSNOB DI ANTONIONI ALLE COMMEDIE CON SORDI (“DIMME PORCA CHE ME PIASE DE PIÙ!”). MA GIRARE UN FILM CON LEI NON ERA UNA PASSEGGIATA. PER MAGNI LA VITTI ERA LA PIÙ DIFFICILE DI TUTTE. E QUANTO SI INCAZZAVA SE UNO LE CHIEDEVA: TI FANNO MALE I CAPELLI?” – VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Certo che la Vitti è un mistero. E’ l’unica attrice italiana paragonabile, per successo e popolarità, ai colonnelli della nostra commedia, Gassmam-Tognazzi-Sordi-Manfredi.

     

    Forse l’unica donna comica che abbiamo avuto, almeno prima di Paola Cortellesi e poco dopo Franca Valeri.

     

    La prima nel cinema italiano in grado di affrontare temi socialmente importanti per le prime lotte femministe, a cominciare dalla sua Assunta Patané in “La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli, che cerca vendetta su chi l’ha disonorata in quel di Londra.

     

     

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    Ma è anche e soprattutto l’icona più importante del cinema più impegnato, più snob, e più da festival che abbiamo mai avuto, quello cioè di Michelangelo Antonioni, protagonista di “L’avventura”, “La notte”, L’eclisse”, “Deserto rosso”, dove costruisce un modello di donna completamente diverso da quello delle maggiorate alla Sophia Loren.

     

    E l’unica che sia riuscita a passare incredibilmente indenne dal cinema supersnob di Antonioni, dagli applausi di Cannes ai terribili fischi a Venezia, a quello di Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, Luciano Salce e Alberto Sordi, che è forse quello che attore l’ha capita meglio.

     

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    Ma come ha fatto? Si dice, anzi si diceva, che il regista che per primo rivelò il suo gran talento comico fosse stato Alessandro Blasetti con l’episodio “La lepre e la tartaruga” nel film “Le quattro verità”, girato nel 1962 a metà strada tra “L’eclisse” e “Deserto rosso” di Antonioni.

     

    E’ vero che in quell’episodio, dove è una moglie che lotta con l’amante Sylva Koscina alla riconquista del marito Rossano Brazzi, c’è già tutta la Vitti divertente, intelligente, affascinante che conosciamo e che verrà fuori dopo, ma è vero pure che, malgrado tutta l’incomunicabilità di Antonioni, la Vitti era già comica, ma proprio comico, nel suo primissimo film, il mitico “Ridere! Ridere Ridere!”, proto-barzelletta movie girato da Edoardo Anton del 1954 che vide nascere anche la coppia Tognazzi-Vianello. Un film oggi vedibile solo su qualche privata in una pessima copia che andrebbe sicuramente restaurato. Non solo.

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    A teatro aveva addirittura avuto il ruolo del bassotto Otto, come già ebbe in gioventù Franca Valeri, in una versione del Signor Bonaventura diretta proprio da Sergio Tofano, suo insegnante all’Accademia, che le impose anche di cambiar nome, e da Maria Luisa Ceciarelli divenne la più intrigante Monica Vitti (Vittiglia era il cognome materno).

     

    Anche per Luigi Magni, che la diresse in “Tosca” e molto ci litigò al punto di non guardarsi più in faccia per anni, la Vitti era nata comica. “La sua comicità non è affatto costruita.

     

    alberto sordi monica vitti polvere di stelle alberto sordi monica vitti polvere di stelle

    Lei è una buffa di natura, nasce proprio attrice comica, commediante, secondo me era finta quando faceva quella a cui davano fastidio i capelli”. Per Vittorio Cottafavi, che la diresse in una celebre edizione televisiva, oggi temo invisibile, di “Le notti bianche”, tra un film di Antonioni e l’altro, era invece “Un’attrice molto sensibile, molto fine, forse più sensibile che professionale. Il personaggio era di una sensibilità eccessiva e Monica lo ha interpretato amorevolmente. Sembrava un filo d’erba scosso dal vento della sua sete di libertà, di amore e dalla paura che il suo amore fosse soltanto un’illusione”.

     

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    Accidenti… non è facile pensare alla stessa attrice così sensibile nel ruolo di superjena di “L’anatra all’arancia” di Luciano Salce in guerra con l’ex-marito Ugo Tognazzi o con Sordi nel fondamentale “Polvere di stelle”. Dino Risi, che la diresse in “Noi donne siamo fatte così”, un film ad episodi interamente costruito su di lei, ma scappò dalla regia di “L’anatra all’arancia”, la vedeva in modo diverso.

     

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    Partendo dal fatto che la commedia italiana era un genere di cinema fatto da uomini per un pubblico di uomini, diceva: “Il cinema italiano nel suo complesso ha impedito alle donne di crescere, di imporsi. Allora la Vitti ha dovuto diventare comica per sfondare, la Melato lo stesso”. Quindi per lei il film comico sarà solo un ripiego.

     

    Almeno rispetto al cinema di Antonioni che l’aveva lanciata in tutto il mondo. Mah… Eppure quando inizia a girare “L’avventura”, il primo dei film che girerà con Antonioni, l’avevamo vista da poco in due commedie,

     

    “Una pelliccia di visone” di Glauco Pellegrini nel 1956 con Tina Pica e Roberto Risso e “Le dritte” di Mario Amendola con Sandra Mondaini, Franco Fabrizi e Paolo Panelli. E’ Antonioni che la scopre attrice drammatiche, imponendola in capolavori come “La notte”, “L’eclisse”, fino a “Deserto rosso” e facendone l’immagine della donna borghese moderna, inquieta e sensibile, né madre né fatalona.

     

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    Ma l’istinto comico, in realtà, non scompare mai. E se Blasetti le costruirà il primo prototipo di personaggio adatto alla commedia all’italiana maggiore, senza per questa perdere il suo status nel cinema di Antonioni divisa tra Cannes e Venezia, saranno i tanti titoli successivi negli anni ’60 a farne una sorta di supercomica.

     

    A cominciare dal “Dimme porca che me piase de più!” che dice a Alberto Sordi in un episodio di “Il disco volante” di Tinto Brass ai personaggi dei suoi primi film a episodi, “Le bambole”, “Le fate”, alla sua versione di “Ti ho sposato per allegria” diretta da Luciano Salce, fino ai suoi primi grandi successo nella commedia all’italiana fine anni’60, in coppia con Alberto Sordi in “Amore mio aiutami”, nel 1969, dove tradisce il suo uomo e viene massacrata di botte, da sola, pronta all’omicidio per vendicarsi del disonore in La ragazza con la pistola” di Mario Monicelli e al centro di un triangolo amoroso popolare in “Dramma della gelosia” a fianco di Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini.

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    E’ con questi tre film, firmato Sordi, Monicelli, Scola, che la Vitti diventa di fatto uno dei colonnelli del cinema italiano e il nome che anche da sola fa botteghino.

     

    Funzionano meno i tentativi per farne una star internazionale, come lo stravagante ma disastroso “Modesty Blaise” di Joseph Losey con Dirk Bogarde e Terence Stamp, il suo primo film in inglese, tratto da un celebre fumetto, o “La cintura di castità” di Pasquale Festa Campanile, dove recita in inglese con Tony Curtis. Losey muore d’imbarazzo quando si ritrova sul set la sua diva accompagnata dal fidanzato Michelangelo Antonioni con una faccia poco adatta all’operazione pop.

     

    Alla fine glielo disse, se, insomma, per piacere… poteva stare lontano dal set… Dirk Bogarde, anni dopo, disse che era stata la peggiore di tutte le sue partner, la definì “beastly”. Ma per Losey fu complicatissimo anche solo imporle delle riprese di profilo, cosa che non aveva mai accettato di fare prima.

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    A ben vedere, però, non era una passeggiata girare un film con lei. “Come attrice”, diceva Marcello Mastroianni a proposito di “Dramma della gelosia” di Scola, “tanto di cappello.

     

    Quello che semmai di lei mi lascia perplesso sul lavoro sono certe sue ansie, certe sue preoccupazioni, il suo perenne chiedere la complicità di tutti quelli che si trovano sul set – dall’operaio al macchinista all’elettricista al truccatore – tutti – nel suo eterno timore che possa sfuggirle qualcosa”.

     

    Franco Giraldi che, in “Gli ordini sono ordini”, tratto da un racconto di Moravia, cercava di farne una femminista, una che si libera dal ruolo di moglie borghese pronta a scopare come un uomo, si stupì del suo no, “una scena così proprio non l’accetto”, del suo non voler accettare le novità. Per Magni “la Vitti è la più difficile di tutte. Schiava di un teatro e di un cinema dove avevano importanza cose diverse.

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    Insomma lei viene da quel cinema dove quando diceva, come in Deserto rosso, Mi fanno male i capelli, era vero.

     

    Su questa cosa dei capelli l’abbiamo sfottuta per anni e Monica si incazzava se uno le chiedeva: Ti fanno male i capelli?”. Curiosamente il mondo del cinema italiano si trovò fra le mani una star, anzi una star comica e una star internazionale, che non sempre sapeva come gestire.

     

    I registi della commedia si trovavano in difficoltà con l’ombra di un uomo pesante e impegnato come Antonioni.

     

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    Risi raccontava di quando fece vedere alla coppia Vitti-Antonioni il suo “Venezia, la luna e tu” e incassò complimenti da lei, ma un durissimo “Credevo che tu fossi interessato a altro cinema da lui”. Ma per certi versi non era neanche così esportabile in film diversi da quelli che faceva.

     

    Quando girò con Miklos Jancso il musical-rivoluzionario sul 68 e dintorni “La pacifista”, una totale pazzia che amo molto, il produttore italiano fece rimontare e ridoppiare il film dal trucissimo Guido Leoni come fosse una commedia pecoreccia con risultati orripilanti.

     

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    Solo Luis Bunuel le offrì un buon ruolo in “Il fantasma della libertà”. Ma in generale quelli che sapevano come prenderla furono Alberto Sordi, con cui girò “Polvere le stelle”, il film a episodi “Le coppie”, “Io so che tu sai che lei sa”, o registi meno autoriali, come Marcello Fondato, che la diresse in “Ninì Tirabusciò”,

     

    “A mezzanotte va la ronda del piacere”, perfino nel suo ultimo film, “Ma tu mi vuoi bene?” nel 1992. Senza contare i film dei suoi fidanzati, come Carlo Di Palma, che la diresse nell’interessante “Teresa la ladra”, tratto da un romanzo di Dacia Maraini, che la Vitti fece vedere anche a Pertini al Quirinale, o come lo stesso Roberto Russo, il suo ultimo compagno, che la diresse in “Flirt”, che le fece vincere un premio al Festival di Berlino.

     

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    Curiosamente non funzionò affatto nella folle operazione de “Il mistero di Oberwald”, primo film girato in elettronica nel 1981 con mille sforzi e supporti produttivi da Michelangelo Antonioni tratto da “L’aigle à deux tetes” di Jean Cocteau, dove nel ruolo della regina, un tempo appartenuto a Edwige Feuillère, se ne esce con dei romanissimi “Sebbastian!” con troppe b dedicate a Franco Branciaroli che fecero ridere la platea dei critici in quel di Venezia. In fondo, l’aver per troppo tempo bazzicato il cinema comica l’aveva fatta diventare solo un’attrice comica. Inesorabilmente.

     

    Meglio vederla e rivederla nei suoi classici anni ’60 diretta da Antonioni o nelle sue commedie storiche, perfino nei più tardi “L’anatra all’arancia” o in “Amori miei”, film di grande successo dove fa morir dal ridere, che in operazioni dove non riusciva più a passare da un mondo all’altra.

     

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