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    LA VENEZIA DEI GIUSTI - ''NOTTURNO'' DI GIANFRANCO ROSI, PRESENTATO OGGI A VENEZIA IN CONCORSO, È UN COMMOVENTE E UMANISSIMO VIAGGIO LUNGO UN CONFINE, QUELLO CHE ATTRAVERSA LIBANO, SIRIA, IRAQ. COME SE CI AVESSERO PORTATO LÀ, IN UNA ZONA IGNOTA DEL MEDIO ORIENTE, SENZA UNA MAPPA, SENZA INTERNET, SENZA ARMI. QUELLO CHE RIUSCIAMO A CAPIRE, COME VEDENDO UN QUADRO O SENTENDO UN BRANO DI MUSICA, È QUELLO CHE ROSI HA SCELTO E CI MOSTRA


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    Notturno di Gianfranco Rosi

     

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    Un cacciatore di anatre che si muove tra la notte e l’alba. Un gruppo di soldatesse curde che si preparano a dormire e poi controllano la zona. Dei piccoli orfani che raccontano l’orrore dell’occupazione dell’Isis alla maestra. Un ragazzino che si deve svegliare all’alba per cercare di portare a casa qualcosa da mangiare. Lontano, chissà dove, si sentono ancora colpi d’arma da fuoco, sparati non si sa bene da chi contro chi.

     

    “Notturno” di Gianfranco Rosi, presentato oggi a Venezia in concorso, prenotato già da tutti festival internazionali, come il “Sacro Gra”, è un commovente e umanissimo viaggio lungo un confine, quello che attraversa Libano, Siria, Iraq, un Kurdistan ancora non completamente pacificato in questi ultimi tre anni, dove la bellezza e la storia dei paesi, le culture più antiche del mondo, portano evidenti i segni di morte, violenza e distruzione.

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    E dove, se si vuole sopravvivere, non c’è proprio tempo nemmeno per capire bene quel che è successo e piangere i propri morti. Senza una didascalia, a parte quella iniziale che incolpa le potenze dell’Occidente di aver disegnato dei falsi confini nel Medio Oriente alla fine della Prima Guerra Mondiale, ma anche senza nessun tipo di moralismo o di facile pietà, il film di Rosi non è propriamente un documentario, perché evita di raccontare e di ricostruire storicamente quel che vediamo, evita di spiegare, ma ci mette di fronte a una realtà “filmata” e “montata”, che noi spettatori dobbiamo decifrare.

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    Come se ci avessero portato là, in una zona ignota del Medio Oriente, senza una mappa, senza Internet, senza armi. Quello che riusciamo a capire, solo vedendo il film, come vedendo un quadro o sentendo un brano di musica, è quello che Rosi ha scelto e ci mostra. Tutta la cronaca, la guerra recente e quella passata, ad esempio, la vediamo solo in tv.

     

    E’ repertorio, subito storicizzato. La vediamo in una specie di fuori campo che non è il film che Rosi vuole mostrarci. Lui vuole mostrarci la vita oltre l’orrore e oltre la storia. Anche se non riesce, a contatto coi piccoli orfani che hanno visto da vicino la follia dei combattenti dell’Isis, a non starli a sentire, a non ricostruire la loro storia.

     

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    Dopo il Leone d’Oro a Venezia nel 2013 con “Sacro Gra” e l’Orso d’Oro a Berlino nel 2016 con “Fuocoammare”, Gianfranco Rosi e la sua ultima opera erano davvero molto attesi. “Notturno” è più difficile e, se vogliamo, più autoriale dei due film precedenti, non ha neppure una schema chiaro, né una geografia chiara per lo spettatore. Ma forse proprio per questo è un film che ci porta con maggior vigore di fronte a una realtà, che il mondo occidentale conosce troppo superficialmente, senza possibilità di fuga. E, allora, noi siamo i cacciatori di anatre, gli orfani, i soldati. Noi, per una volta, non siamo spettatori.

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