Giuseppe Scarpa per "il Messaggero"
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Era un imprenditore affermato. Adesso per vivere fa il muratore. Il carcere e l'accusa di essere il mandante di un omicidio hanno disintegrato la sua vita. Per tre anni ha portato sulle spalle l'infamante imputazione. L'assoluzione, del 19 giugno 2018, non è bastata a lavare via ogni sospetto.
E nemmeno lo Stato, che lo ha ingiustamente arrestato, adesso vuole fare i conti con un errore giudiziario che ha fatto precipitare una famiglia nel dissesto. I giudici hanno condannato il ministero dell'Economia a versare sul conto corrente di Massimiliano Prosperi, 53 anni, poco meno di 40mila euro. Un risarcimento per quei giorni trascorsi in cella. Ma il ministero, nonostante una sentenza definitiva datata 9 marzo 2021, tarda a pagare, accusano Prosperi e il suo avvocato, Alì Abukar Hayo: «Questa è l'ennesima ingiustizia».
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L'inizio dell'incubo ha una data: 5 marzo del 2015. Alla porta di Prosperi, in un appartamento di Roma, bussano le forze dell'ordine. In casa ci sono la moglie e i due figli. Prosperi viene immobilizzato e portato in carcere. L'accusa è di essere il mandante dell'omicidio di Sesto Corvini. Un 74enne ucciso a colpi di pistola il 9 ottobre 2013, nel quartiere residenziale di Casalpalocco.
L'uomo si dichiara innocente. Ma da quel momento inizia un calvario. Prosperi segna nel calendario i giorni che trascorre in cella. In totale sono 132. Da Regina Coeli, il 14 luglio del 2015, esce un uomo distrutto. Ma il peggio deve ancora venire. Il 27 aprile del 2016, con rito abbreviato, il giudice di primo grado lo condanna a 30 anni di carcere.
La decisione del magistrato si fonda sulla testimonianza di un pentito, Giancarlo Orsini, che punta il dito contro Prosperi. Il castello di accuse crolla, però, nei due gradi di giudizio successivi. La prima corte d'Assise d'Appello lo assolve «per non aver commesso il fatto» il 13 giugno 2017. Per il 53enne è una boccata d'ossigeno. Ma il suo percorso, nel labirinto della giustizia italiana, non è ancora finito. L'ultima parola spetta alla Cassazione. Per Prosperi il 19 giugno del 2018 è una rinascita. L'accusa di essere l'istigatore di un assassinio tramonta definitivamente. Non è lui il mandante.
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La vita dell'uomo e della sua famiglia, però, è in mille pezzi. Il clima, attorno a lui, è irrespirabile. Il 53enne, a capo di una piccola azienda che si occupa di garantire la sicurezza delle più esclusive boutique della Capitale, è marchiato. Anche se innocente viene guardato con sospetto. Nessuno vuole avere a che fare con lui. Prosperi riprova a mettere su l'impresa, ma non ci riesce. Troppi i pregiudizi.
Alla fine, deve rinunciare al suo sogno. Per poter sopravvivere deve fare il muratore. Nel frattempo, chiede un risarcimento per tutti i giorni trascorsi in carcere. Il tre marzo del 2021 la quarta sezione penale della corte d'Appello di Roma stabilisce la somma: poco meno di 40mila euro. Il suo avvocato chiede che il pagamento venga liquidato, ma da via XX Settembre, sostiene il legale, non arriva nessuna risposta.
«Il mio assistito - spiega l'avvocato Alì Abukar Hayo - chiede aiuto per porre fine alla sua disperazione dovuta al fatto che lo Stato l'ha punito ingiustamente due volte. Prima arrestandolo preventivamente per 6 mesi, poi condannandolo ingiustamente a 30 anni di reclusione. E, per giunta, oggi, il ministero dell'Economia e delle Finanze non esegue la decisione della Corte di Appello di Roma, che ha liquidato, in favore di Prosperi, la somma di 40.000 euro a titolo di equo indennizzo per ingiusta detenzione in data 9 marzo 2021. Purtroppo siamo stati ignorati, nonostante i numerosi solleciti, ma non ci arrenderemo e, se costretti, pignoreremo la scrivania del ministro».
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