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    UNA GAFFE PER GAZA - KERRY SI LASCIA SFUGGIRE CRITICHE A ISRAELE (“ALTRO CHE OPERAZIONE PRECISA”) - E OBAMA TELEFONA A NETANYAHU: “SERIA PREOCCUPAZIONE PER LE VITTIME” - IL QATAR DIETRO LA DIPLOMAZIA PER IL CESSATE IL FUOCO


     
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    Guido Olimpio per “Il Corriere della Sera

     

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    Washington comprende Israele ma è inquieta per il bilancio degli scontri. Il presidente Obama lo ha detto in modo chiaro telefonando al premier israeliano Netanyahu al quale ha espresso «seria preoccupazione» per l’elevato numero di vittime palestinesi. Per questo la Casa Bianca, come ha sottolineato la Casa Bianca, chiede un immediato cessate il fuoco e un’intesa che riprenda quella che mise fine alla crisi del 2012.

     

    Segnali che sembrano indicare pressioni anche più decise nel privato come dimostra una strana piroetta di John Kerry. In una dichiarazione pubblica il segretario di Stato americano ha suonato una canzone: «Lo Stato ebraico è assediato da un gruppo terroristico e ha diritto di difendersi dagli attacchi di Hamas». Ma qualche ora dopo, è sembrato pensarla diversamente. E non di poco.

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    Kerry, senza rendersi conto che un microfono della rete Fox era «aperto» – così l’hanno raccontata le fonti – ha usato termini sarcastici sulla tattica israeliana: «Altro che operazione precisa». Poi ha proseguito rivolto a un collaboratore: «L’escalation è significativa. Dobbiamo andare, dobbiamo andare stasera» nella regione.
     

    Il giornalista che lo stava intervistando ha cercato di strappargli di più e gli ha chiesto se non ritenesse che Israele avesse esagerato nell’uso della forza, Kerry ha ripiegato su una posizione vaga: «È difficile avere questo tipo di operazioni». La gaffe – sempre che la “fuga” non sia stata voluta – ricorda come i rapporti tra il segretario di Stato e Gerusalemme non siano mai stati facili.

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    Ora però, con un bilancio terrificante c’è la necessità di trovare una soluzione. Per questo Kerry si recherà al più presto in Medio Oriente – prima tappa al Cairo – unendosi agli sforzi già in atto. Al centro della mediazione c’è sempre il Qatar, vicino agli islamisti palestinesi. Ieri ci sono stati i primi contatti del segretario dell’Onu Ban Ki moon con il presidente palestinese Abu Mazen e altri seguiranno oggi.

     

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    Doha ospita alcuni dirigenti in esilio di Hamas, tra i quali Khaled Meshaal, che dovrebbe vedere Abu Mazen. Il massimo esponente delle Nazioni Unite ha condannato le «atrocità» e ha ammonito Israele a usare moderazione: «Gaza è una ferita aperta che va suturata». Critiche che sommate all’appello di Obama segnalano come la pressione su Gerusalemme possa crescere.

     

    L’idea sul quale la diplomazia sta lavorando è un piano che prevede la fine del blocco di Gaza, il rilascio di prigionieri da parte di Israele, un impegno per il cessate il fuoco. Tutti punti che sarebbero stati messi a punto con l’aiuto del Qatar.

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    Il piccolo stato del Golfo prova a manovrare come ha fatto nelle primavere arabe. Ha fiancheggiato i moti popolari a Tunisi, ha proseguito in Egitto cavalcando la rivolta anti-Mubarak, quindi ha pilotato la ribellione contro Gheddafi. Quando è deflagrata la crisi siriana, ha sperato di ripetere lo schema libico. Solo che Damasco non era Tripoli. Complicate le relazioni con i vicini, ostili all’asse del Qatar con la Fratellanza musulmana.
     

    Abu Mazen Abu Mazen

    Le tensioni esterne si sono sommate a quelle interne, con la designazione di un nuovo emiro a Doha. Un cambio seguito da un periodo di inevitabile assestamento. Qualcuno ha parlato di «perdita di influenza». Mosse in parte determinate dall’ampio schieramento contrario alle ingerenze del Qatar. «Nell’intera regione c’è un sentimento di rabbia verso l’emirato» ha rimarcato un portavoce egiziano. In realtà – secondo alcuni osservatori – quella del Qatar è stata solo una scelta tattica ed ora con il disastro di Gaza ha trovato un varco per inserirsi. 

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