Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
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È tutto scritto, dichiarato e diffuso per il pubblico. Quando il 16 marzo la Casa Bianca ha autorizzato nuove forniture belliche in favore dell'Ucraina, all'ultima riga della «lista della spesa» c'erano quattro parole: immagini satellitari e lavoro d'analisi.
È un'annotazione fugace, riempita però, qualche giorno dopo, dalle dichiarazioni in chiaro di alti funzionari.
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La condivisione dell'intelligence con gli ucraini ha assunto caratteristiche «rivoluzionarie» e senza precedenti, ha detto il generale Scott Berrier, direttore della Dia, lo spionaggio militare, durante un'audizione al Congresso.
Poi è entrato in scena il suo collega, Paul Nakasone, responsabile del Cyber Command e della Nsa, l'agenzia che tutto ascolta: nei miei 35 anni di servizio - ha sottolineato - non ho mai visto una collaborazione migliore nel condividere ciò che sappiamo: l'intelligence americana - spiega - osserva e reagisce rapidamente ai tentativi di fare disinformazione.
Le imbeccate Usa
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«Abbiamo continuamente condiviso informazioni dettagliate con il governo ucraino», aveva detto a inizio marzo Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca. «Queste informazioni hanno permesso loro di capire i piani russi e sviluppare una risposta militare».
La collaborazione con l'Ucraina, iniziata nel 2015, è diventata nel tempo molto efficace. Le spie statunitensi hanno anticipato da mesi quello che sarebbe poi accaduto, ossia l'invasione: un flusso di informazioni costante, mai visto prima.
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Poi, una volta iniziato il conflitto, hanno reagito su più livelli: la ricognizione aerea elettronica e i satelliti hanno raccolto i «segnali» russi, intercettato le comunicazioni, sorvegliato a distanza - ma da vicino, grazie agli strumenti - le mosse dell'Armata. Uno sforzo al quale partecipano velivoli di diversi Paesi, Italia inclusa.
Quindi hanno passato agli ucraini coordinate precise, avvertimenti, dettagli: secondo alcuni analisti è possibile che numerosi attacchi di precisione condotti dalla resistenza siano avvenuti grazie alle imbeccate preziose arrivate da Washington. «L'ingrediente segreto», ha detto sempre Nakasone, è l'abilità di lavorare fuori dal Paese, di «vedere cosa sta facendo il nostro avversario».
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Chissà che i numerosi ufficiali russi caduti al fronte non siano stati centrati dai cecchini locali addestrati in passato dai paramilitari della Cia con un progetto ad hoc iniziato nel 2015.
La Cnn ha scritto che sarebbe stato anche creato un database dove sono riversate le informazioni più importanti, un archivio digitale al quale i «difensori» hanno un accesso immediato e con una finestra temporale ristretta. Un ruolo importante lo hanno avuto anche le stazioni internet Starlink, i satelliti forniti da Elon Musk che hanno permesso a Kiev di collegarsi in modo stabile alla Rete.
La raccolta di dati
Il sito The Intercept ha aggiunto che l'intelligence non è grezza, ma già studiata, quindi utilizzabile con maggiore efficacia. Gli Stati Uniti amplificano i dati che gli agenti possono confermare, usando anche un funzionario di collegamento per riferirli agli ucraini, e scartano quelli non confermati.
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È un regime sofisticato, che per ora ha permesso a Washington di fornire assistenza evitando di diventare un «combattente attivo» nel conflitto: per questo motivo i droni e gli aerei che effettuano ricognizioni stanno attenti a non entrare nello spazio aereo ucraino.
A questa missione potrebbe aggiungersi quella sul terreno, affidata a team clandestini. Su questo punto non si possono avere conferme: la linea ufficiale è che non vi sono americani sul terreno, ma sono apparse voci che sostengono il contrario, chiamano in causa forze speciali e le «ombre».
È il mondo sotterraneo protetto dalle smentite e dalle posizioni di rito che escludono il coinvolgimento diretto. La Storia ha spesso dimostrato quale fosse poi la realtà.