Flavia Amabile per “la Stampa”
lotito
«Ai nostri morti portiamo i sassi, non i fiori. Quella corona per noi non aveva alcun significato. Il Tevere è il suo posto, almeno la mangiano i pesci, noi non amiamo gli sprechi». Non c'è rimorso né voglia di cambiare discorso tra gli ebrei romani: la corona di fiori deposta dal presidente della Lazio, Claudio Lotito, due giorni fa di fronte alla Sinagoga è stata gettata nel fiume, e non era un caso. È quella che, in modo informale, la stessa Comunità di Roma definisce «una doverosa pulizia» come «reazione alle parole indegne pronunciate».
A occuparsi della «pulizia» sarebbe stato, infatti, un gruppo di giovani della Comunità dopo la pubblicazione da parte del quotidiano «Il Messaggero» di una frase pronunciata da Lotito mentre sta andando alla cerimonia di deposizione dei fiori «Famo 'sta sceneggiata», dice.
LOTITO
Un'offesa che si aggiunge a quella delle figurine antisemite con il volto di Anna Frank . «Giravano da mesi, quelle figurine, domenica la questione è scoppiata ma noi l' avevamo già vista e abbiamo fatto finta di nulla», spiega Marco, uno degli ultimi eredi di una famiglia di commercianti ebrei del Ghetto.
Perché non avete detto nulla? «Siamo stanchi, non ci piace alimentare un clima che di anno in anno peggiora. Ho moglie e due figli, non voglio ritrovarmi con le vetrine spaccate dai tifosi. Sono orgoglioso delle mie origini e della mia famiglia ma voglio vivere e lavorare in pace. Da qualche tempo inizio ad avere paura e a capire quello che hanno vissuto i nostri nonni».
BUTTATI SULLE RIVE DEL TEVERE I FIORI DI LOTITO ALLA SINAGOGA
Marco, infatti, chiede di non pubblicare il suo cognome. Lo stesso fa Giovanni, cinquantenne, storico commerciante ebreo di via dei Giubbonari: «Chiunque sia stato ha fatto bene a buttare nel Tevere la corona di Lotito. Noi siamo a Roma da duemila anni, gli altri non so dove fossero. Noi siamo la storia e le radici di questa città, offendere noi vuol dire offendere gli ultimi veri romani».
CLAUDIO LOTITO IN SINAGOGA - LO STRAFALCIONE SUL BIGLIETTO
Ma chi conosce il mondo degli ebrei di Roma sa anche che per loro lanciare qualcosa nel Tevere è qualcosa di più che nutrire alcuni dei pesci più grassi che si siano mai visti in giro. Non a caso la Comunità usa la parola «pulizia» per definire un gesto che si usa per lavare le offese subite. Nel Tevere finì Donato Carretta, ex direttore di Regina Coeli, per il suo ruolo nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
Ieri mattina, quindi, la nuova offesa è stata lavata ma senza dubbio ci troviamo di fronte a uno scontro sempre più evidente. Una parte degli ebrei di Roma ora teme la risposta dei laziali, prova a immaginare quali simboli potrebbero colpire, le loro tombe, i luoghi della memoria, le pietre d'inciampo o le persone che si espongono. Nessuno infatti vuole parlare in prima persona, ma le autorità sanno che non si deve lasciar correre. Due giorni fa il rabbino capo Riccardo Di Segni aveva chiarito: «La Comunità non è una lavatrice, né un luogo dove si presenta un omaggio floreale e si risolve tutto».
I FIORI DI LOTITO IN SINAGOGA BUTTATI NEL TEVERE
Ieri la presidente della Comunità Ruth Dureghello aggiunge: «Un rappresentante di una società di calcio che si esprime nel modo in cui abbiamo sentito esprimersi alcuni di loro in questi giorni, e non voglio personalizzare, mi fa inorridire». L'offesa delle figurine di Anna Frank, infatti, è solo l'ultima puntata di una storia difficile, quella tra gli ebrei romani e la tifoseria laziale. C'è stata la scritta «Auschwitz la vostra patria, i forni la vostra casa...»
Oppure sei anni fa, il giorno l'anniversario della deportazione degli ebrei della capitale, allo stadio fu intonato il coro «giallorossi ebrei», un canto ripetuto in molte altre partite.
I FIORI DI LOTITO IN SINAGOGA BUTTATI NEL TEVERE
La Comunità ebraica protestò, denunciò. Senza alcun risultato. All'inizio di quest' anno una sentenza ha assolto i responsabili da ogni accusa. «Un precedente allarmante per la giustizia di questo Paese che legittima l'utilizzo dell'aggettivo ebreo in forma dispregiativa e razzista e comunque come strumento di derisione durante gli eventi sportivi», avverte la presidente. Gli insulti infatti sono andati avanti.
Ieri sera, però, la Lazio giocava a Bologna. I calciatori sono scesi in campo durante il riscaldamento con una maglietta con la scritta «No all'antisemitismo» e la foto di Anna Frank. E con la speranza di restituire al calcio il suo ruolo di gioco e non di serbatoio di violenze. Ma i pochi sostenitori al seguito entrano allo stadio cantando «Me ne frego...», il canto fascista.