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    GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA GUERRA - ALEXANDR SABANCEV È UN VETERANO DELL'INTELLIGENCE UCRAINA, SOLDATO SPEDITO AL FRONTE IN DONBASS, E ORA PARLA DEL NUOVO CONFLITTO CONTRO I RUSSI: "I MILITARI SONO ADDESTRATI A MIRARE, SPARARE E UCCIDERE, MA NON A GESTIRE IL DOPO" - 1.500 REDUCI SI SONO SUICIDATI PER STRESS POST TRAUMATICO E DEPRESSIONE: "IO HO CAPITO COME GESTIRLO, PER ESEMPIO NON FESTEGGIO IL CAPODANNO. ALCOL E BOTTI MI FANNO ANDARE FUORI DI TESTA"


     
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    Monica Perosino per "La Stampa"

     

    soldati ucraini caduti al fronte soldati ucraini caduti al fronte

    Alexandr Sabancev non è esattamente il tipo che vorresti incontrare in un vicolo buio. Pugni in tasca, giubbotto di pelle aperto a quattro gradi sotto zero, non cammina, marcia. È l'unico che non si ingobbisce contro il vento gelido e carico di neve che qui, alla periferia Ovest di Kiev, tra enormi vialoni e palazzi in stile sovietico, non trova ostacoli.

     

    Saluta con un cenno, nessun sorriso. Alexandr, come molti dei 350.000 reduci della guerra nel Donbass, è ancora laggiù, sulla linea del fronte, otto anni dopo. «Sono tornato, ma allo stesso tempo sono sempre lì, nel magazzino abbandonato di Lugansk, con i miei commilitoni».

     

    alexandr sabancev alexandr sabancev

    Soldato del 130° battaglione delle forze armate ucraine, ha prestato servizio nell'intelligence militare, ed è uno di quelli che sono tornati a casa dalla cosiddetta Operazione Ato (Anti Terror Operation).

     

    Anche se «casa» per lui oggi ha un significato diverso: «Prima di partire lavoravo nel commercio, ero sposato da 9 anni, avevo una figlia». Poi il Donbass. Ora la sua nuova famiglia è il famigerato gruppo motociclistico Banditos Ukraine: «Quando sono tornato, mia moglie non mi riconosceva più, ero diverso, diceva. Ci siamo lasciati».

     

    A volte i numeri non raccontano tutta la storia: nel Donbass ci sono stati 13.000 morti, 24.000 feriti. Ma gli «effetti collaterali» che non rientrano nelle statistiche, o meglio che rientravano fino a quando non sono state fatti sparire, e i quasi 1.500 soldati morti suicidi a causa dalla sindrome da stress post traumatico sono diventati un tabù.

     

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    Secondo il Ministero della Salute un terzo dei reduci ha ricevuto o riceve un aiuto psicologico, «ma non basta - dice Alexandr - dovrebbe essere obbligatorio per tutti». Lui però, non ha chiesto aiuto. Beve un sorso di tè e tutto di un fiato dice: «Ho paura, dopo otto anni ho ancora paura che se parlassi con qualcuno di quello che ho visto, di quello che ho fatto, poi tornerebbe tutto fuori di nuovo. Non ne ho il coraggio».

     

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    La voce è ferma, ma si stringe l'avambraccio talmente forte che le nocche della mano sono bianche. «Sto bene, riesco a dormire, riesco a controllarlo. Ho capito come gestirlo, e evito alcune situazioni». Per esempio: «Il Capodanno. Non lo festeggio più. Alcol e botti mi fanno andare fuori di testa».

     

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    Evitare alcol, evitare rumori forti, evitare stress o discussioni. Sono passati otto anni, ma «come si fa a dimenticare? Un giorno sei seduto con tuoi amici, i tuoi compagni, il giorno dopo vai al loro funerale».

     

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    Il primo a cadere è stato "Buk", poi gli altri. Aleksandr è stato al fronte un anno. «Un anno, due mesi, tre giorni». Ha compiuto 30 anni a Lugansk, con molti dei compagni che oggi non ci sono più. Ma «rifarebbe tutto da capo». E ora vuole tornare laggiù, se scoppiasse un conflitto sarebbe tra i primi riservisti chiamati al fronte.

     

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    Aleksandr sorride. I suoi genitori sono russi, vivono in un villaggio sulla costa del Mare di Azov. «Sai - spiega - questo non è un conflitto civile, o etnico, è un conflitto per la libertà». Prima della guerra pensava alla Russia come a «una sorella più grande», dopo ha capito «che le carogne sono così per quello che hanno vissuto, non per dove sono nati».

     

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    Racconta: «Non sono mai riuscito a comprendere le loro motivazioni, le nostre erano chiare. Durante gli interrogatori, dopo essere stati catturati, avrebbero detto qualsiasi cosa per salvarsi la vita».

     

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    Ma mentre aspetta di partire ancora, ha chiara una cosa: «Molti dei soldati sono stati addestrati a mirare, sparare e uccidere, ma a pochi è stato mostrato come gestire il dopo». Se si pensa che per ogni soldato morto al fronte un altro si toglierà la vita una volta tornato a casa, il numero delle vittime dei conflitti è almeno il doppio. Alcuni si uccidono lentamente con l'alcol, altri scelgono il suicidio: «Io resisto e aspetto di tornare laggiù, per riprendermi quello che ci è stato tolto».

     

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