Tommaso Ciriaco e Giuliano Foschini per repubblica.it - Estratti
MANUEL JACOANGELI
Una sequenza di errori. O almeno, di sottovalutazioni. Capaci di irritare la Farnesina. E di provocare uno scomodo gioco del cerino tra l’esecutivo e il corpo diplomatico. Il caso di Ilaria Salis coinvolge l’ambasciata italiana in Ungheria. E l’ambasciatore, Manuel Jacoangeli. È lui, dal 14 giugno 2021, a rappresentare l’Italia a Budapest. E diventa adesso il bersaglio delle critiche neanche troppo velate che arrivano dai vertici del governo.
Un passo indietro. La carriera di Jacoangeli si sviluppa tra Bruxelles, Lubiana, il Consiglio d’Europa e il ministero degli Esteri. Ma anche come consigliere diplomatico di alcuni ministri: prima all’Istruzione con Valeria Fedeli, poi alla Salute con la grillina Giulia Grillo. Resterà al dicastero all’arrivo di Roberto Speranza, ma soltanto per nove mesi: a giugno l’esecutivo guidato da Mario Draghi lo nomina ambasciatore d’Ungheria. Ed è lì che incrocia la storia di Ilaria Salis.
GIORGIA MELONI VIKTOR ORBAN
Tutto inizia un anno fa, l’11 febbraio del 2023. Il caso resta però sconosciuto al pubblico per diversi mesi, fino a un articolo pubblicato su questo giornale da Fabio Tonacci. Gli unici a conoscere nel dettaglio la vicenda sono i funzionari dell’ambasciata italiana in Ungheria e, ovviamente, i loro interlocutori istituzionali alla Farnesina.
Per come ricostruiscono adesso la vicenda fonti di governo e diplomatiche, non è l’ambasciatore a maneggiare personalmente il dossier. Tocca ad alcuni suoi sottoposti a Budapest occuparsi dell’iter giudiziario che segue l’arresto della ragazza e porta Salis per diverse volte nell’aula di un tribunale magiaro. Sono loro, ad esempio, a fornire supporto per consentire i contatti su Skype tra la detenuta e i familiari.
ILARIA SALIS
È un dettaglio fondamentale, riferiscono ora fonti dell’esecutivo di massimo livello, il fatto che a occuparsi di tutto non sia direttamente Jacoangeli. Nel linguaggio diplomatico, sostengono infatti, soltanto l’intervento diretto dell’ambasciatore permette a un caso di essere considerato “politico”, attirando più facilmente l’attenzione del governo. Altrimenti, viene valutato come tecnico.
Eppure, la detenzione di Salis presentava fin dall’inizio gli ingredienti per esplodere: investe i rapporti tra Italia e Ungheria, dunque tra Orbán e Meloni. E coinvolge Budapest, finita spesso nel mirino di Bruxelles a causa delle violazioni dello stato di diritto.
ilaria salis
La reazione dell’ambasciatore sarebbe stata dunque lenta, troppo cauta. E avrebbe peccato di sensibilità nell’individuare la delicatezza politica del caso. Quando Repubblica scrive della vicenda, è ormai troppo tardi per rimediare. A quel punto, raccontano, Antonio Tajani viene investito personalmente del problema e raggiunge telefonicamente l’ambasciatore. Ciononostante, nulla accade fino all’altro ieri. Palazzo Chigi mantiene un profilo bassissimo, spinto soprattutto dalla necessità di preservare il rapporto con Orbán.
ANTONIO TAJANI
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