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    “GLI FACCIAMO DARE 4 O 5 REVOLVERATE ADDOSSO ALLA PORTA” – LE MINACCE DI MARCELLO COLAFIGLI, IL “BUFALO” DELLA BANDA DELLA MAGLIANA, FINITO DI NUOVO IN MANETTE PER TRAFFICO DI DROGA DOPO AVER OTTENUTO LA SEMILIBERTÀ – “MARCELLONE” FU ACCUSATO DI AVER IMPORTATO EROINA GRAZIE A TOTÒ RIINA - IL CARISMA DEL BOSS È CERTIFICATO DAL SUO AUTISTA: “TE SEI UNA PERSONA TROPPO IMPORTANTE, SEI UNA BOMBA ATOMICA”


     
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    1 - IN CELLA BOSS DELLA MAGLIANA ERA L’EMISSARIO DEI NARCOS

    Rinaldo Frignani per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” - Estratti

     

    MARCELLO COLAFIGLI renatino de pedis MARCELLO COLAFIGLI renatino de pedis

    Il cartello colombiano aveva trovato un emissario speciale per invadere Roma di droga nell’anno del Covid. «Marcello» Colafigli, detto «Marcellone», uno degli ultimi boss della Banda della Magliana. «Bufalo» di Romanzo criminale, classe 1953, di Poggio Mirteto, in provincia di Rieti.

     

    Nella Capitale della malavita organizzata era stato ribattezzato «Ciccio» o anche «Zio», a seconda dei suoi interlocutori. Il risultato non cambiava mai: era lui, secondo la Direzione distrettuale antimafia, a coordinare l’arrivo via Spagna di importanti carichi di sostanza stupefacente, approfittando anche del regime di semilibertà che gli era stato concesso dopo due condanne all’ergastolo per omicidio: quelli di Maurizio Proietti e, come mandante insieme ad altri, di Enrico De Pedis, il boss dei «testaccini» contrapposti a quelli della Magliana.

     

    (…)

    All’epoca - negli anni Ottanta - «Marcellone» era stato accusato di aver importato eroina alla Magliana e a San Paolo grazie a Totò Riina. Attraverso il riconoscimento della seminfermità mentale, a seconda dei casi per «psicosi schizofrenica paranoide», «personalità epilettoide» e «sindrome borderline», Colafigli era tornato quasi libero.

    Ma ieri i carabinieri del Comando provinciale lo hanno arrestato perché considerato dalla Dda a capo di una banda di trafficanti.

     

    marcello colafigli marcello colafigli

    Sono 28 i destinatari delle misure cautelari emesse dal gip Livio Sabatini, 11 in carcere e 16 ai domiciliari, oltre all’obbligo di firma per la responsabile della coop agricola «Spazi immensi» in via Anagnina, Patrizia Di Vincenzo, dove «Ciccio» doveva trascorrere pomeriggio e notte prima di rientrare in carcere per seguire «un percorso di sostegno, formazione e acquisizione di abilità e capacità professionali», come disposto nel 2019 dal Tribunale di sorveglianza di Torino.

     

    In realtà, secondo l’accusa, la donna lo copriva da eventuali controlli e produceva false relazioni sulla condotta di «Marcellone» all’interno della struttura, sebbene il 70enne non partecipasse alle iniziative previste. Anzi, in quei locali «Ciccio» incontrava i suoi complici, in particolare due, che era riuscito a far entrare: «Sandro», Alessandro Brunetti, e «Vecchio», Savino Damato.

     

    Traffici importanti, collegati a quelli di clan della camorra, della ‘ndrangheta e della mafia foggiana, come anche di gruppi albanesi, tutti in contatto con Colafigli e con i narcos sudamericani. Con «Marcellone» c’era sempre il suo autista e guardaspalle, Fabrizio Fabriani, 36 anni.

     

    marcello colafigli marcello colafigli

    Ma la banda - proprio come ai tempi della Magliana - poteva contare su una serie di complici e fiancheggiatori: il «falegname» Maurizio Fantini, il «carrozziere» Riccardo Tinti, il «biondo» Erion Hyseni, il «pischello» Roland Nurce, Naser Xhylani, detto «Sud» e anche l’«Abbronzato», Pasquale Napolitano, insieme con Walter Garofolo, detto «Meccanico».

     

    Dalle indagini è emerso che Brunetti e Damato erano i collaboratori fidati di «Marcellone», mentre Fantini nascondeva la droga nella sua falegnameria. Lo spaccio, dalla Magliana e da Massimina, era affidato a Tinti. Il pagamento dello stupefacente ai colombiani avveniva con carte prepagate, e di questo si occupava un altro arrestato, Salvatore Princigalli.

     

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    Proprio quest’ultimo è stato a sua volta vittima di un tentativo di estorsione da 200 mila euro per un affare fallito con i narcos, soldi che aveva usato, secondo il gip, per «saldare debiti personali».

     

    2 - «GLI FACCIAMO DARE QUATTRO O CINQUE REVOLVERATE ADDOSSO ALLA PORTA»

    Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” - Estratti

     

    «Gli facciamo dare 4 o 5 revolverate addosso alla porta» ripeteva «Marcellone» a chi lo interpellava per mettere in riga questo o quello. «Gli mandiamo sotto Mauretto “er buro”» e festa finita. In questa storia carica di soprannomi — il Biondo, il Pischello, Pinocchio, lo Scuro, Zagaja e altri — continuava a comandare lui, Marcello Colafigli, mai redento militante della Banda della Magliana che aveva trasformato il tempo in eccezionale vantaggio relazionale.

     

    Così almeno scrive il gip Livio Sabatini allargando idealmente le braccia di fronte al fallimento riabilitativo: «L’eccezionalità dell’attitudine delinquenziale di Colafigli — si legge nelle carte che hanno portato all’arresto l’ex boss e molti suoi sodali — è resa evidente non solo dalla sua disinvoltura nell’intrattenere legami con figure criminali di primo piano o dalla facilità nel compimento di reati di varia natura, ma ancor più dalla impermeabilità al trentennale periodo di carcerazione, non essendo mutate né l’indole né la conoscenza delle dinamiche criminali nel territorio romano e nazionale».

    TOTO RIINA TOTO RIINA

     

    Un’immutata capacità di incutere timore nell’avversario: è questa la cifra di «Marcellone» come capisce Pinocchio, al secolo Salvatore Princigalli, suo complice nell’importare un carico di cocaina. Dopo una marcia indietro Princigalli appare spaventato e si confida con un amico: «Cioè questi qui ti danno fuoco, ti bru...ti bruciano vivo».

     

    Più esplicito ancora, lo stesso Princigalli ripete: «Fino a che sanno che gli dai i soldi...uno schiaffo e una carota, quando sanno che i soldi tu li hai persi tu sei perso...eh eh hai capito? Perché tanto li hai persi, hai capito? E perciò ti ammazzano».

     

    Il «ferro» a disposizione c’era sempre, custodito in questo caso in una falegnameria dove i carabinieri del Nucleo investigativo di via in Selci, coordinati dal pm antimafia Mario Palazzi, lo hanno rintracciato.

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    Il carisma del boss è riassunto anche dal suo autista Fabrizio Fabriani: «Te sei una persona troppo importante, una bomba sei una bomba atomica...ma che io ti vedo così. I giornali, i ca..., i mazzi» Lui, Colafigli, si muove tra la vecchia Magliana e il Nuovo Salario dove incontra amici e pianifica strategie criminali.

     

    Può farlo? Chi lo aiuta? Ecco allora l’assist di Patrizia Di Vincenzo che lo copre e gli assicura protezione durante il regime di semilibertà attraverso la sua cooperativa «Spazi immensi». Scrive a tale proposito il gip Livio Sabatini: «Per comprendere l’effettivo approccio psicologico della Di Vincenzo alle richieste di Marcello Colafigli — al fine di evidenziare che la copertura di Colafigli è stata del tutto volontaria — ...si apprende che la donna aveva chiesto al Colafigli di intercedere presso un terzo al fine di far assumere un di lei conoscente presso un supermercato Todis (richiesta poi accolta) è chiaro pertanto il rapporto di tipo utilitaristico intrattenuto dalla Di Vincenzo con Colafigli».

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