Piera Anna Franini per “il Giornale”
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Gli studenti delle università telematiche erano 40mila nell'anno accademico 2010-11, sono diventati 94mila nel 2017-18, con un exploit nel 2020-21 dove hanno toccato quota 185mila: più del 10% della popolazione studentesca universitaria che ad oggi è pari a 1.838.695. Il boom è stato accompagnato da qualche perplessità e da una serie di interrogativi. Ci si chiede se le telematiche assicurino lo stesso livello di preparazione delle università tradizionali.
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Chi vi insegna? Chi le frequenta? Il fenomeno (...) (...) potrebbe contribuire a ridisegnare gli equilibri del nostro sistema universitario? Premessa. Le telematiche sono enti universitari non statali, legalmente riconosciuti e abilitati a rilasciare titoli equipollenti a quelli conseguiti negli atenei classici. Sono state istituite nell'aprile 2003 con decreto firmato dall'allora ministro dell'Istruzione Letizia Moratti.
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Offrono una didattica basata sul principio dell'apprendimento a distanza (e-learning), sebbene alcuni enti prevedano anche corsi in sede, i contenuti sono su piattaforme e dunque fruibili in qualsiasi momento. A oggi le università telematiche sono 11, però con sedi e poli diffusi lungo l'intero stivale. La palma della telematica con più iscritti va a Pegaso (67.526), già acquisita da un Fondo estero, vedibox), alle spalle c'è eCampus (32.138) che al momento resta tricolore.
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INCIAMPI
Le telematiche sono maggiorenni ma il vero e proprio decollo lo si è avuto nell'ultimo quinquennio, tutt' uno con una crescente dimestichezza col digitale. In 18 anni d'esistenza, non sono mancati incidenti di percorso. Nel 2013 alcuni atenei telematici non superarono l'esame dell'Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario) per carenza di docenti con contratto a tempo indeterminato, per numero di lauree non congruo rispetto agli iscritti, per dubbia efficacia ed efficienza dei corsi impartiti.
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Il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza minacciò di revocare le licenze a chi non avesse rispettato i parametri. I bocciati chiesero le dimissioni del ministro, che comunque decadde di lì a un mese con il Governo (Letta). A ogni modo, nessun'altra telematica è mai più nata, in compenso quelle attive sono cresciute in termini di sedi, corsi e iscritti.
SIAMO SOLO NOI
Le università classiche non ne vogliono sapere delle cugine di ultima generazione, gli stessi studenti delle prime si irrigidiscono all'idea di una preparazione da remoto. Non usa perifrasi Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane).
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«Non chiamiamole università a distanza, semplicemente non sono università. Intendo, ovviamente, nel senso stretto, letterale del termine che, sin dalla sua origine, ha coinciso con l'idea di collettività e di comunità, quindi di partecipazione e non solo di fruizione. L'università adempie tre funzioni: promuove la crescita della persona, delle conoscenze e fa ricerca; con l'ingresso in università il ragazzo abbandona la propria zona di conforto per interagire con un nuovo corpo docenti e studenti, esperienze fondamentali per l'evoluzione della personalità.
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L'università deve quindi accrescere le conoscenze, trasmettere contenuti e fare ricerca, deve dunque disporre di spazi: aule e laboratori. Poi vi sono altre offerte formative che fanno capo alle università telematiche, agli Its e alle academy, queste due ultime specializzate in una formazione professionalizzante. Ma attenzione: università tradizionali, università telematiche, Its e academy sono quattro realtà ben distinte, non confondiamole l'una con l'altra. Ben vengano tutte le occasioni in cui si fa formazione, ma dobbiamo essere chiari nella comunicazione evitando di fare pubblicità ingannevole».
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LA DIFESA
Dall'altra sponda non può che cambiare la prospettiva. «A chi ci declassa rispondo in modo perentorio che noi siamo atenei a tutti gli effetti, abbiamo docenti di alto profilo, disponiamo di laboratori nelle varie sedi, abbiamo servizi accurati di tutoraggio dello studente» spiega Fulvio Gismondi, prorettore della telematica UniMarconi. E precisa: «non amo le classificazioni ma se proprio vengo invitato a esprimermi in questi termini allora dico che vi sono università tradizionali e telematiche di serie A e tradizionali e telematiche di serie B. Non è automatico che le tradizionali siano tutte di serie A e che le telematiche siano tutte di serie B».
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L'osservazione lascia trapelare la vivace concorrenza tra le 11 realtà, enti privati che di fatto attingono alla stessa utenza e che negli ultimi cinque anni hanno visto triplicare il gettito passando da 172 milioni a 571 milioni di euro, così l'analisi condotta dalla società di consulenza per l'istruzione terziaria Talents Venture.
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Le telematiche sono in gara quando c'è da spartirsi il mercato, ma alleate nel chiedere di essere ammesse alla Crui, «esserne escluse dimostra che non siamo considerate, non è ammissibile che non possiamo sedere ai tavoli tecnici quando si discute di università» lamenta il coro dei rettori delle università a prova di clic. Guai poi a liquidare le telematiche come enti che erogano contenuti e competenze tramite video-lezioni.
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«Le video-lezioni sono i pilastri portanti di una struttura che contempla una serie di supporti multimediali, dalle chat ai forum, così da creare momenti di confronto con docenti e altri studenti. Le lezioni sono accompagnate da dispense. Per valutare il livello di preparazione abbiamo creato una batteria di test in grado di misurarlo, chiediamo inoltre che vengano elaborati testi e tesine poi da noi corretti. Assicuriamo un servizio di tutoraggio efficiente e puntuale, addirittura migliore rispetto a quello di tante università classiche», spiega Michele Corsi, rettore di Pegaso.
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L'essere centrati sul cliente (B2c), ergo la cura dello studente, è lo slogan delle telematiche. «I nostri studenti sono più accuditi che nelle università tradizionali. Professori e assistenti sono tenuti a rispondere ai quesiti degli studenti al massimo entro 48 ore, c'è una piattaforma specifica per questo. Con l'app eCampus Club, inoltre, si entra in contatto con gli altri studenti» spiega Enzo Siviero, rettore di eCampus, realtà che disponendo di 60 aule e 250 stanze per alloggio consente anche di frequentare alcuni corsi in presenza, in genere organizzati nei fine settimane.
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A rincalzo, Gismondi di UniMarconi osserva: «Sono stato professore alla Sapienza di Roma per quattordici anni, conosco la qualità della relazione docente-studente delle università tradizionali.
Per questo posso affermare che da noi la cura dello studente è maniacale».
DIGITALE, LA MARCIA IN PIÙ
Ferruccio Resta è categorico. L'università è in presenza, sempre e comunque. «Posso collegarmi con l'altra parte del mondo per condividere con gli studenti la lezione di un collega, ma lo si fa dall'aula. Gli atenei devono avvalersi di strumenti moderni e disporre di aule interattive, devono essere aperti al digitale per cui ha senso registrare una lezione che gli studenti seguono a casa ma questo deve poi diventare oggetto di discussione in aula».
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Di fatto, le università tradizionali stanno via via aumentando l'offerta telematica. Sempre secondo la ricerca di Talents Venture, il 56% degli atenei tradizionali ha corsi da remoto, mentre prima del Covid era solo il 29%.
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Una cosa è certa: non si diventa medici o veterinari ma neppure architetti frequentando una telematica. Lo vieta la normativa. Cosa che il buon senso riterrebbe ragionevole, anche se non la pensa così il rettore di Pegaso che si appella a studi - non meglio precisati - «di altissimo spessore scientifico sulla possibilità di insegnare medicina online. Io sono convinto che anche questa disciplina possa essere insegnata da remoto pur con alcuni momenti di presenza in laboratori». E di fatto Pegaso prevede master nell'area della sanità (da «Ecografia: tecnica, anatomia ed applicazione clinica» a «Infermiere di camera operatoria»).