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    SPENNA I TURISTI, CIAONE ALL'ERARIO! - I PREZZI DELLE SPIAGGE SONO FUORI CONTROLLO: A PARAGGI, VICINO A PORTOFINO, UNA SETTIMANA PER UNA FAMIGLIA CON DUE BAMBINI È ARRIVATA A COSTARE 4MILA EURO, UN OMBRELLONE COSTA 300 EURO, MA ALLO STATO CHI HA LA CONCESSIONE PAGA 5.840 EURO L’ANNO PER TUTTA LA SPIAGGIA - MORALE DELLA FAVA? GLI ITALIANI FUGGONO E I LIDI VENGONO INVASI DAGLI AMERICANI. FUBINI: “NEL 2023 IL REDDITO PER ABITANTE NEGLI STATI UNITI ERA SUPERIORE DEL 113% A QUELLO DELL’ITALIA. LE CONSEGUENZE SI NOTANO..."


     
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    Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

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    Quest’estate, il dottor Giulio Rolando ha detto addio al luogo di vacanze di tutta la vita. Troppo caro. E non che Giulio Rolando sia privo di mezzi: cresciuto nella benestante e istruita borghesia di Torino, laureato in Economia, esperienze di lavoro all’estero, quindi imprenditore e amministratore delegato di un’impresa di servizi all’industria. Da quando era piccolo andava al mare a Paraggi, vicino a Portofino. […]

     una settimana a Paraggi con la moglie e i due figli ormai costerebbe almeno quattromila euro, mentre il turismo fa registrare balzi di fatturato del 20% rispetto al 2023. Benvenuti nell’Italia di oggi, al record di occupazione, di smarrimento e rabbia sociale.

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    Il listino prezzi

    Quello che vedete qui sopra è il listino prezzi dei Bagni Fiore a Paraggi, comune di Santa Margherita Ligure, per quest’estate. Ombrellone fino a 350 euro al giorno; parcheggio 48 euro; poi l’hotel da quasi mille euro a notte e il ristorante da almeno 80 euro a persona a pasto. Il prezzo meno pubblicizzato è quello dell’affitto pagato per la concessione di sfruttamento al proprietario della spiaggia, cioè allo Stato: 5.840 euro e 29 centesimi per il 2024, più o meno i ricavi di un paio di file di ombrelloni in un giorno per mettersi a posto un anno.

     

    [.... Questo fenomeno sta tirando il potere d’acquisto anche dei ceti benestanti d’Italia sempre più indietro rispetto ai corrispondenti ceti dei Paesi più ricchi. Per alcuni aspetti, siamo ormai da qualche parte a metà strada fra un Paese sviluppato e un Paese che non lo è così tanto.

     

    La forbice dei redditi

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    Ho ricordato qualche mese fa che nel 1992 il reddito per abitante negli Stati Uniti era di appena il 9% sopra a quello dell’Italia, in dollari correnti (secondo la Banca mondiale), mentre l’anno scorso era superiore del 113%. In trent’anni, ci hanno più che doppiati. 

    Le conseguenze si notano oggi nel listino prezzi dei Bagni Fiore, nella vita di Giulio Rolando e di milioni come lui e come noi. Non possiamo più permetterci certe cose, neanche a casa nostra. 

     

    Poiché circa otto turisti stranieri in Italia su dieci oggi vengono dagli Stati Uniti (stima di Bernabò Bocca, grande albergatore e presidente di Federalberghi) e poiché l’aumento di presenze turistiche di stranieri quest’anno è del 14% rispetto al 2023 (stima Federalberghi), inevitabilmente in Italia si è creato un sistema di prezzi duale.

     

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    Ci sono i prezzi per noi e poi ci sono i prezzi per loro. Noi vediamo i nostri salari stagnanti da un decennio e erosi dall’inflazione e dalla difficoltà delle nostre aziende nello stare sul mercato o dello Stato nel controllare il debito. Loro invece sono quelli che vivono sulle coste degli Stati Uniti e hanno comprato le azioni di Nvidia (più 166% in un anno) quando noi non avevamo sentito ancora nominare quest’azienda che produce chip per l’intelligenza artificiale; magari loro sono quelli che a Nvidia o a Wall Street o con l’intelligenza artificiale ci lavorano veramente.

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    Così i prezzi italiani fatti per noi a loro sembrano incredibilmente bassi, come a noi sembravano bassi quelli dell’Europa orientale dopo la caduta del Muro. E i prezzi fatti per loro – i turisti stranieri – a noi risultano inarrivabili. Solo che loro hanno scelto i luoghi più belli, quelli della nostra infanzia, quelli che un tempo sentivamo nostri e ora sono frequentabili solo da loro. 

    La media di tutto questo fa sì che l’inflazione nei servizi ricettivi in Italia dal 2019 sia stata del 32,4% (secondo Federalberghi), cioè i prezzi per i viaggi e il tempo libero siano cresciuti il doppio rispetto all’inflazione generale e più del doppio rispetto ai redditi medi degli italiani.

    […]

     

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    Una spia è il fatturato delle fonderie, che riciclano i metalli e li lavorano per fornire beni d’investimento dal settore auto alla meccanica, dall’industria aerospaziale alle macchine utensili, dall’edilizia alla produzione di energia rinnovabile. Il migliaio di fonderie d’Italia sono una finestra per affacciarsi sul resto del Paese e capire quando ancora riesca a fare cose, senza limitarsi a mettere a disposizione luoghi belli e a servire i turisti che li visitano. 

     

    Bene, in un anno il fatturato delle fonderie è giù del 12%, informa l’associazione di categoria Assofond. E non è il solo settore ad andare male, né si tratta di una difficoltà passeggera o di un mal comune all’Europa. Non solo perché l’industria è in calo da quasi un anno e mezzo (giù del 3% in un anno), mentre i volumi di export – informa l’Istat – sono giù del 3,4% a maggio sul maggio del 2023. C’è un problema più generale.

     

    Fatti pari a 100 i livelli del 2021, ecco cosa ci dice l’agenzia statistica europea Eurostat della produzione industriale a maggio:

    aumento dei prezzi di lettini e ombrelloni aumento dei prezzi di lettini e ombrelloni

    Svizzera: 108

    Spagna: 101,3

    Olanda: 100,7

    Francia: 98,8

    Unione europea: 98,7

    Belgio: 96

    ITALIA: 94,9

    Germania: 92,7

     

    Quel che sta accadendo è strutturale, non passeggero. Investe i settori sui quali siamo rimasti indietro sull’evoluzione mondiale delle tecnologie (automotive) e tutti i settori ad alta intensità di energia. 

    L’esportazione di mezzi di trasporto è giù di un quinto in un anno, mentre i settori più colpiti sono tutti serbatoi strategici di competenze: chimica, siderurgia, carta, materiali da costruzione.

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    Anche qui, c’è una logica. A causa dei ritardi nella transizione alle rinnovabili stiamo pagando l’energia elettrica molto più dei concorrenti che hanno le risorse per sussidiarla pesantemente (Francia e Germania) e di quelli che hanno accelerato davvero sul fotovoltaico (Spagna). 

    […]

    Ma voi ne sentire parlare? Io sento solo una discussione sulla transizione verde molto simbolica e «ideologica» (sinonimo di «vaga» nel gergo politico attuale). Non sento dire – come pure è vero – che l’ultimo decreto di governo sulle aree idonee agli impianti di rinnovabili rischia di tenere fuori questi ultimi da un raggio di sette chilometri da tutti i terreni vincolati per beni artistici o naturali; dunque rischia di escludere pannelli solari e turbine eoliche dal 96% del territorio italiano. Sarebbe la condanna di gran parte dell’industria italiana.

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    Ma ora mi interessano più gli effetti generali. 

    Che Paese prende forma da un continuo e persistente boom del turismo di visitatori esteri molto più ricchi di noi e dal continuo e persistente declino dell’industria tradizionale? 

    Sarebbe un’Italia in cui, come ora, si continuano a battere record di occupazione perché l’accoglienza ha un’alta intensità di manodopera. Sarebbe un’Italia in cui tra non molti anni il turismo con il suo indotto sorpasserebbe la manifattura per peso nell’economia. Non ci siamo ancora arrivati, ma quel momento s’intravede.

     

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    E si sente nell’atmosfera psicologica del Paese. [...] L’industria è un settore che crea e sostiene un ampio ceto medio; nell’industria ci sono operai specializzati, bravissimi tecnici, ingegneri, impiegati che cercano soluzioni, sviluppano creatività, ricavano soddisfazioni e un’identità.

     

    Il turismo è per sua natura molto più verticale: il concessionario della spiaggia o il proprietario dell’albergo catturano gran parte dei profitti, mentre sotto di sé ha una massa di lavoratori che - sia pur non sempre - sono spesso poco qualificati e hanno contratti brevi, salari bassi, contributi deboli, un accesso alle pensioni e al welfare ridotto e con un senso di appartenenza all’impresa e al progetto più flebili. Ci sono anche tante competenze nel turismo che riempiono giustamente di soddisfazione chi le ha, certo. Ma, in proporzione, ce ne sono meno.

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    Rischiamo di diventare così un Paese dal tasso di occupazione sempre più alto, ma una società alienata: espulsa dai luoghi della propria identità a causa di prezzi tenuti alti per altri, e impegnata a servire questi altri con dei «lavoretti». 

    Il turismo è senz’altro da preservare e da sviluppare: ma non può sostituire il nostro savoir faire più antico. Il prezzo da pagare, per l’Italia, sarebbe troppo alto.    

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