Ripubblichiamo il colloquio di Francesco Cevasco con Paolo Villaggio apparso su "La Lettura" del 28 maggio 2017
Francesco Cevasco per La Lettura - Corriere della Sera
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Anche quando è di cattivo umore, come in questi giorni «che 84 anni e mezzo sono tanti», non rinuncia a esibire il suo talento: quello di farti ridere con l’ironia selvaggia di quand’era bambino. Cominciò allora, con il fratello gemello Piero, a sparare paradossi surreali e a fare doppi salti mortali carpiati con le parole che ti trascinavano nel cuore della comicità.
Come Buster Keaton, come Groucho Marx. Lo ha detto e ridetto: «Il comico non diventa mai adulto, resta sempre un bambino». E allora riascoltiamo la sua lunga e amata storia d’attor comico — ma non solo — con la prudenza che per farci ridere o per farci arrabbiare, per provocarci o regalarci una parola di consolazione, ogni tanto ci ha raccontato qualche nobile bugia.
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Tra pochi giorni, domenica 4 giugno, lo rivedremo sul palcoscenico. Sarà un protagonista del Festival culturale di Verona, quest’anno dedicato alla Bellezza e ai Maestri dello Spirito. E spiritoso lo sarà senza dubbio nella sua performance intitolata, semplicemente, Fantozzi. Scorreranno in video momenti della sua infinita carriera e da una comoda poltrona ci farà ridere commentandoli.
Paolo Villaggio ci racconterà se stesso e i compagni del suo viaggio nella «Bellezza» del mondo delle arti. Ma che cos’è la bellezza per lui? Scherza, ma non troppo: «Monica Bellucci! Tempo fa ho fatto un film con lei, Palla di neve. Indimenticabile: lei, non il film. E poi la Cappella Sistina».
L’amicizia con De André
ROBERTO DAGOSTINO DAGO E PAOLO VILLAGGIO FOTO MARCELLINO RADOGNA
Ovviamente, per Villaggio, bellezza è il sodalizio con il «fratello » Fabrizio De André. «Eravamo tanto amici che il nostro rapporto andava ben oltre le fedi sportive: lui genoano sfegatato, io sampdoriano appassionato». E ricorda come si fossero conosciuti quando Fabrizio aveva 4 anni e come «ci siamo persi di vista solo quando è morto».
E poi c’è la storia di un trio professionale assai stravagante: a bordo delle navi da crociera si ritrovarono tra vedove mature, signori benestanti e cacciatori d’avventure lo chansonnier presunto e chiacchierone consumato Silvio Berlusconi, il cantautore vero Fabrizio De André, il comico menestrello Paolo Villaggio.
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Quello che capì per primo come stavano le cose fu Berlusconi: «Ragazzi, qui non si diventa ricchi. Bisogna fare una cosa: affittare un capannone fuori Milano e fare una tv privata». Fabrizio e Paolo si guardarono, poggiarono la punta del dito indice alla tempia e dissero in coro: «Questo è pazzo».
Tognazzi, Gassman, Volonté
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Poi, vera o no, questa è ancora più bella. Villaggio è la voce narrante: «Eravamo molto giovani, Fabrizio, Gigi Rizzi, il playboy, quello della Bardot per capirci, e io. Eravamo in una casa genovese non delle migliori, abitata da uno che “benevolmente” chiamavamo “il paralitico”. Con un paio di ragazze non delle più belle. Insomma, vediamo un gatto che ha ammazzato un topo.
Fabrizio dice: se mi date 20 mila lire me lo mangio. Gigi tira fuori un rotolone di banconote. Fabrizio piglia il topo e con i denti gli stacca la coda: come uno spaghetto. Non mangio altro, dice, perché ho poca fame».
Di sicuro ci sono le vere amicizie anche con altre persone straordinarie. «Dico Gassman. Amico leale e onesto. Ma anche presuntuoso e a volte antipatico (con gli altri, non con me). Un grande, con le donne un “cannibale”. Diceva sempre quello che pensava, come me. L’ho stimato come uomo e come attore.
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Diceva semantico e paratattico per mostrare la sua cultura. Ma era divertente e unico». E Tognazzi? «Intelligente come uomo. Geniale come attore. Finto come poeta. Vero come erotomane. Convinto di essere un grande cuoco. Anche lui non era premeditato. Diceva la verità». Volonté? «Mi manca, mi manca molto».
«Fantozzi sei tu»
Interrompiamo per un momento la lista per infilare tra i grandi il mitico cognome di Fantozzi. A chi gli chiede: oggi chi è Fantozzi? Villaggio risponde crudele com’è. Prima finge di guardarti dalla testa ai piedi, come sei vestito, pettinato, qual è la tua postura. Poi risponde. «Ma sei tu, oggi Fantozzi sei tu».
Tu incassi, ma non fai in tempo a rattristarti che ti consola subito e dice più o meno: guardi, io sono stato per 4 anni impiegato all’Italsider di Genova. Non facevo un belino (niente, ndr). Avevo la Lambretta. Dall’ufficio andavo al Lido (lo stabilimento balneare, ndr). Poi con calma tornavo al lavoro.
FANTOZZI - PAOLO VILLAGGIO
Nessuno faceva un cazzo (già tradotto, ndr). Il cartellino era un optional. Per amore o per amicizia c’era sempre qualcuno che lo timbrava per te. Non come adesso che ti mettono in galera ». Poi, però, ti gela e ti spiega che lui è esattamente l’opposto di Fantozzi (quindi torni a pensare che Fantozzi sei tu). Lui ha avuto fortuna e successo nella vita, nel lavoro (da quando ha smesso di fare l’impiegato non ha mai pensato: lavorare stanca), persino con le donne s’è tolto qualche soddisfazione. Insomma il colmo: ha avuto successo nella vita grazie all’invenzione di un personaggio che nella vita è stato sempre e comunque uno sfigato.
«Cosa desidero? La santità!»
PAOLO VILLAGGIO IN FRACCHIA LA BELVA UMANA
Vabbè, egregio signor Villaggio, megadirettore galattico di mezzo secolo di comicità, che cosa desidera oggi? Rieccolo, con la sua faccia tosta. Scandisce: «Che cosa desidero oggi? Ovvio: la santità!». Touché; allora ci dica se «il santo» immagina in un lontano futuro un erede, artistico beninteso. Sembra serio: «Mi piace Zalone. Al di là di tutto, lo trovo molto intelligente». Vedi? Non è vero che Villaggio parla male di tutti.
«Monicelli? Il più geniale. Uno che ha saputo fare La Grande guerra e I soliti ignoti non ha paragoni. Fellini? Intelligente e dolce. Capace di raffinate perfidie». Villaggio ama stare acquattato nella sua poltrona. E torna in mente il mitico Sacco inventato alla fine degli anni Sessanta da tre giovani architetti torinesi (Teodoro, Paolini e Gatti) su cui Fracchia tentava invano di accomodarsi al cospetto del crudele capufficio per precipitare a terra mentre «mi si stanno intrecciando i diti!».
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La poltrona è stata esposta al Moma di New York e in un’altra trentina di musei. E Fracchia? Che fine ha fatto? È sempre vivo. «C’è sempre uno che si chiama Giandomenico Fracchia. Un nevrotico, uno che di fronte a una ragazza che gli piace non riesce a spiccicar parola e di fronte al capufficio si caga addosso. È una malattia molto comune: un eccesso di paura e timidezza».
«Sfigati e infelici»
Le cose sono peggiorate, dice Villaggio. Gli italiani sono sempre Fantozzi e Fracchia, ma quei due, con tutti i loro guai, stavano meglio degli italiani d’oggi. Erano sfigati ma non infelici. Oggi gli italiani sono sfigati e infelici. Come dicono a Genova, Villaggio «c’ha dato», l’ha azzeccata (la psicologia dell’italiano medio) tanto che l’aggettivo «fantozziano» (quello che significa lo sappiamo tutti) è entrato nei dizionari della lingua italiana. Su questo Villaggio non scherza: gli piace l’idea e basta.
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D’altra parte è anche un «Commendatore. Ordine al Merito della Repubblica Italiana ». Ma basta allontanarsi appena dalla sua casa di Roma, a Prati, e entrare nella Città del Vaticano che Villaggio si scatena. L’ha detto lui prima di Sorrentino: «Temo proprio che il Papa non creda in Dio».
BERLUSCONI VILLAGGIO
P.S. Soltanto adesso chi scrive si rende conto di quanto non abbia dato giusto conto di tutte le cose che quel ruvido genovese di Villaggio ha combinato. Per tentare di rimediare ecco una citazione di Fellini quando scelse Villaggio e Benigni come protagonisti del suo film La voce della luna — e quasi dovette giustificarsi della sua invenzione davanti ai paludati critici cinematografici. «Come compagni d’avventura — disse Fellini — ho scelto Benigni e Villaggio. Due geniali buffoni, due aristocratici attori, unici, inimitabili, due estrosi. Ideali per inoltrarsi in un territorio che non ha mappe né segnaletica».
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