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GABANELLI E GLI OSPEDALI ITALIANI - I REPARTI DA EVITARE
Simona Ravizza per “Dataroom – Corriere della Sera”
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L’ospedale non è una boutique, dove il «poco e caro» equivale a cura del dettaglio e qualità. Secondo le direttive scientifiche internazionali, per curare bene, gli ospedali devono avere un determinato volume di attività: in medicina più casi tratti meglio lo fai perché hai un’adeguata esperienza, inoltre, lavorando su economie di scala, non sprechi denaro pubblico. Per i Pronto soccorso la media è di almeno 20 mila pazienti l’anno, per i parti di 500.
Cosa prevede la legge
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Questi criteri sono recepiti dal decreto ministeriale 70 del 2015 voluto dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «Per numerose attività ospedaliere – viene spiegato – sono disponibili prove, documentate dalla revisione sistematica della letteratura scientifica, di associazione tra volumi di attività e migliori esiti delle cure».
Il provvedimento s’intitola: Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera. I reparti che non stanno nei parametri devono essere chiusi o riconvertiti. Questi criteri riguardano le metropoli e le aree dove l’offerta sanitaria è vasta, e non sono ovviamente applicabili all’alta montagna o alle zone geograficamente disagiate. Dove non c’è alternativa, piuttosto che nulla è meglio piuttosto.
PRONTO SOCCORSO SAN CAMILLO ROMA
Pronto soccorso con meno di 54 pazienti al giorno: sono sicuri?
La legge parla chiaro: per i Pronto soccorso ci vuole una media di 54 al giorno. Eppure sono ancora in funzione Pronto soccorso con meno di un caso all’ora: all’ospedale di Agropoli (Campania) vengono assistiti 16 pazienti al giorno, al Soveria Mannelli (in provincia di Catanzaro, Calabria) 20, persino in Lombardia a Morbegno non si arriva a 24 casi in media.
Invece a Ostuni, in Puglia, dove vengono fatte 2 visite al giorno e a Scicli, in Sicilia, dove sono 11, al centralino ammettono: «È rimasto un punto di primo intervento, se ha qualcosa di grave vada altrove». Complessivamente, a quattro anni di distanza dal decreto 70, su 635 Pronto soccorso 103 – di cui 2 privati accreditati – risultano senza i requisiti minimi previsti e sarebbero da chiudere.
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I dati sono stati raccolti da Dataroom Regione per Regione sulla base delle schede di dimissioni ospedaliere (Sdo) del 2017, le ultime ufficiali. La Regione dove ci sono più Pronto soccorso senza i requisiti è la Lombardia con 24 (su 101), seguono Sicilia con 23 (su 62), Campania con 12 (su 50), Calabria con 7 (su 22) e Umbria sempre con 7 (su 17) , Puglia 4 (su 41), Provincia autonoma di Trento 4 (su 7), Lazio 3 (su 48), Abruzzo 3 (su 16), Provincia autonoma di Bolzano 2 (su 7) e Veneto 2 (su 51). Nessun Pronto soccorso fuorilegge, invece, in Regioni come Emilia Romagna, Toscana, Piemonte e Liguria.
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I punti nascita sotto i 500 parti
In Emilia Romagna il punto nascita di Pavullo nel Frignano (Modena), 155 bambini nel 2017, è stato giustamente chiuso: «Non c’è più dal 17 ottobre 2017», chiariscono gentilmente al telefono. Ma all’ospedale San Giacomo di Licata, 11 nascite nel 2017, la sala parto è ancora in funzione: «L’abbiamo rinnovata», spiegano soddisfatti dal centralino. Si continua a fare nascere bambini anche a Portogruano in Veneto nonostante i 107 parti del 2017, e al Moriggia Perlascini di Gravedona dove viene alla luce solo un bebè al giorno. Su 442 reparti di ostetricia, 84 – di cui 9 privati accreditati – non raggiungono il minimo di 500 nascite, considerato la soglia per un parto in sicurezza in caso di complicazioni.
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I reparti d’alta specialità: i bacini d’utenza
Per aumentare la qualità dell’assistenza, la sicurezza delle cure e l’uso appropriato dei soldi pubblici, per specialità come cardiochirurgia e neurochirurgia la legge prevede che ci sia un reparto al massimo ogni 600 mila abitanti. E per la chirurgia vascolare uno ogni 400 mila. Complessivamente risultano 115 strutture in più: 12 (su 100) per la cardiochirurgia, 51 (su 160) per la neurochirurgia, 52 (su 207) per la chirurgia vascolare.
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Perché succede
Chiudere reparti per le Regioni è impopolare perché ogni volta che c’è da toccare qualcosa i cittadini insorgono al fianco di sindaci e politici locali, che nel caso di strutture pubbliche difendono la nomenclatura medica e nel caso di privati accreditati tutelano gli interessi degli imprenditori della Sanità. Nessuno spiega ai pazienti che è meglio ricoverarsi in un grande ospedale un po’ più lontano che in uno sotto casa, ma senza i requisiti minimi.
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