prostituzione minorile
Stefania Aoi per www.repubblica.it
Una vicenda denunciata alla polizia dalla professionista attiva nello sportello d’ascolto in un istituto tecnico di Torino. Ci sono state delle indagini. «E si è scoperto che le persone che avevano avuto rapporti col ragazzino erano degli uomini maggiorenni», ricorda Ronzoni, che è anche consigliera dell’Ordine degli Psicologi.
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Dopo l’allarme lanciato della psicoterapeuta Annalisa Perziano, che avvertiva sul pericolo Onlyfans, un sito dove due ragazzine minorenni sue pazienti scambiavano video osé e si accordavano per fare sesso a pagamento, parlano altri psicologi, raccontando di un fenomeno sommerso che emerge solo quando l’adolescente ha un problema, ma che potrebbe essere molto più esteso.
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Tracciano un quadro allarmante, di comportamenti che rasentano in alcuni casi la prostituzione, alla ricerca forsennata di piacere agli altri. Su sette professionisti contattati da Repubblica e che operano nelle scuole, ben sei hanno avuto minorenni che hanno confessato questo genere di attività. «Purtroppo, — racconta Ronzoni — anche se i siti di questo tipo richiedono la maggiore età, è facile entrarci anche se si è più giovani».
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Non è nemmeno il denaro ad attrarre questi adolescenti più di tutto. Spesso arrivano da famiglie benestanti. Alle volte sono proprio i genitori a portarli dallo psicologo. Come nel caso di Valentina (altro nome inventato), 14 anni. «È stata colta in flagrante dalla madre mentre condivideva foto di parti intime sul web. Mentre la seconda paziente mi è stata portata per altri problemi», racconta la psicologa Alessandra Fresia, che oltre a lavorare nel reparto di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Asti, segue uno sportello in una scuola della cittadina piemontese.
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Le due ragazzine erano state vittime di bullismo in passato perché un po’ grassottelle. «E per loro andare online è stato un modo per cercare approvazione, per sentirsi belle e apprezzate e non a disagio come nella vita reale», spiega Fresia.
Un fenomeno spinto anche dalla pandemia, dall’impossibilità di vedere le persone dal vivo. E che provoca una dipendenza simile a quella dei social, dalla necessità di vedere aumentare il numero dei like. «Non è un caso che Instagram abbia voluto nasconderli», ricorda la psicologa. Convinta che per aiutare i ragazzini serva un’educazione sentimentale e un patentino per i telefonini. «C’è chi regala lo smartphone ai bimbi per la prima comunione — conclude — ma questi possono avere competenze tecniche non hanno consapevolezza dei pericoli del web».
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Il racconto di Mauro Martinasso, direttore del Centro di psicologia Ulisse di Torino, che lavora in 12 scuole all’ascolto degli studenti, non si discosta da quello delle colleghe: «Ci hanno segnalato circa 6 casi tra tutte le scuole», spiega il professionista. Aggiungendo: «Questo non vuol dire nulla, perché noi intercettiamo solo quei casi che arrivano alle nostre orecchie, ma c’è anche chi non racconta. Il fenomeno potrebbe essere più esteso di ciò che vediamo».
C’è poi chi non scambia foto di nudo sui siti ma su whatsapp con il fidanzatino. Enrica Cavalli, che segue lo sportello d’ascolto di un liceo di Torino, racconta di aver raccolto le confessioni di ragazzine di 17 anni: «Anche mandare al proprio ragazzo foto osé può essere pericoloso perché se le immagini vengono condivise con terzi possono creare problemi. Nei casi più gravi c’è chi è arrivata al suicidio».
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Ha sentito i colleghi parlare di casi simili, anche Andrea Dughera che coordina un’equipe di 7 persone che lavorano in 39 scuole torinesi. «Viviamo in una società — afferma Norma de Piccoli, docente di psicologia sociale di comunità all’università di Torino — dove il tema dell’oggettivazione del corpo è sempre più diffuso. Lo dimostra anche l’aumento delle richieste di chirurgia estetica: ormai c’è chi misura il proprio valore in base al fisico. E gli adolescenti non sono esclusi da questo fenomeno».