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    “DURANTE I TURNI DI 12 ORE NON MANGIO E NON VADO IN BAGNO” – GLI SMS CHE SARA PEDRI, LA GINECOLOGA SCOMPARSA A MARZO A TRENTO, INVIAVA A UN’AMICA ALL’INIZIO DELLA SUA ESPERIENZA ALL’OSPEDALE SANTA CHIARA: “NON TI NASCONDO CHE CI SONO STATI MOMENTI PIUTTOSTO BUI. NON MI ALZO DALLA SEDIA NEMMENO PER FARE PIPÌ. PRANZO DUE VOLTE A SETTIMANA, QUANDO NON LAVORO” – LA MADRE A “CHI L’HA VISTO?”: “SCRIVEVA ALLE AMICHE: ‘NON NE POSSO PIÙ…”


     
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    Margherita Montanari per "www.corriere.it"

     

    sara pedri scomparsa sara pedri scomparsa

    «Non ti nascondo che ci sono stati momenti piuttosto bui. È un altro mondo. Tutto viene fatto diversamente da come ero abituata. Arrivo per la guardia di 12 ore, e non mi alzo dalla sedia se non per fare la visita. Non bevo, non mangio, non faccio pipì. Considera che pranzo due volte a settimana, quando non lavoro».

     

    Sono parole che nascondono un profondo malessere, quelle diffuse ieri dalla trasmissione di Rai 3 Chi l’ha visto? Parole ritrovate sul cellulare della ginecologa Sara Pedri, inviate all’amica Giovanna agli inizi dell’esperienza all’ospedale Santa Chiara di Trento. Da novembre, la dottoressa 31enne di Forlì è scivolata sempre più in basso, in un profondo malessere che l’ha portata a far perdere le tracce di sé il 4 marzo, dopo aver lasciato la macchina nei pressi del ponte di Mostizzolo, in Val di Non.

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    L’ex primario e la sua vice indagati

    Ieri, su Rai 3, ha parato tutta la famiglia di Sara - la mamma Mirella, il padre Stefano, la sorella Emanuela e l’avvocato Nicodemo Gentile, dell’associazione Penelope, che si occupa di persone scomparse. Il programma tv ha cercato anche l’ex primario Saverio Tateo, finito al centro del terremoto e ora iscritto insieme alla vice Liliana Mereu nel registro degli indagati per reato di maltrattamenti dalla Procura di Trento. «È un momento particolare, la ringrazio molto ma non ho niente da dire», ha risposto alla giornalista.

     

    «Non ne posso più»

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    La vita che Sara aveva iniziato in Trentino non era quella che immaginata. «Aveva scelto il reparto di ginecologia di Cles, anche pensando di poter esser vicina alle montagne e andare a sciare», racconta la madre. E invece, dopo qualche mese, scriveva alle amiche «non ne posso più», come confidato in un audio all’amica Celeste. Il messaggio è stato inviato da Sara mentre si trovava in macchina, sulla strada di ritorno da Trento, dove lavorava.

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    Aveva trovato casa a Cles, sede del reparto a cui era stata inizialmente assegnata, poi chiuso a causa del Covid. Un trasferimento che le costava ogni giorno quaranta minuti di macchina all’andata, quaranta al ritorno, dopo turni di 12 ore. Tra giorni lunghissimi in reparto e trasferimenti quotidiani di oltre un’ora, viveva alienata da qualsiasi sfera affettiva. Non andava meglio sul lato sentimentale.«Con Guglielmo è dura. Gli chiedo scusa tutti i giorni. Io voglio stare con lui, ma è dura. Non ci sentiamo tutto il giorno, se non la sera», confidava a Giovanna. A questo si aggiungevano gli insulti ricevuti, “lo schiaffo alla mano ricevuto il 20 gennaio” prima di essere allontanata dalla sala operatoria davanti ai colleghi, il clima tagliente in reparto, gli orari durissimi.

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    Vessazioni senza fine

    Vessazioni inflitte dai vertici del reparto, denunciate anche da 15 tra infermieri e dottori dell’unità di ginecologia di Trento. Sarebbero stati questi elementi, continuano a sostenere i familiari della ginecologa, a provocare in Sara un malessere tanto profondo da portarla a scomparire. “Mi dà l’idea che episodi simili siano stati continui, dato che hanno portato all’annientamento dell’identità di mia sorella”, la conclusione di Emanuela Pedri.

     

    “Da lontano non riuscivamo a renderci conto dello stato in cui era - ammette la mamma Mirella durante la trasmissione - ce ne siamo accorti solo il 19 febbraio, quando siamo riusciti a convincerla a tornare a casa, prendendosi malattia. Non dormiva la notte, aveva un calo ponderale, si mangiava le unghie, si abbracciava lo stomaco, guardava sempre in basso, non lasciava mai la sua camera e non stava in compagnia”. Già prima di vedere gli effetti del logoramento di Sara, la mamma era accorsa in aiuto alla figlia. “A inizio febbraio mi chiedeva aiuto, e noi da casa le abbiamo dato qualche consiglio per scrivere al direttore sanitario Luzietti di Cles. Lei ha scritto una lettera, ma non l’ha mai spedita”.

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    L’ultima lettera

    Una lettera, datata 7 febbraio, recuperata da Chi l’ha visto? Leggendola, si capisce chiaramente quello che Sara stava passando prima di scomparire, il 4 marzo. La ginecologa chiede di essere assegnata al reparto di ginecologia dell’ospedale di Cles, dove lei aveva vinto il concorso. Rivela, uno dietro l’altro, i motivi che si celano dietro un malessere ormai noto a tutti i familiari, gli amici e al fidanzato Guglielmo.

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    Parla delle lunghe distanze da percorrere “anche con condizioni meteorologiche difficili e pericolose durante l’inverno”, del “carico di ore giornaliero dalle 6 alle 21, anche per più giorni a settimana”, delle difficoltà nel gestire tutto questo vivendo “sola, lontana dalla famiglia, e senza aiuto nella vita quotidiana”.

     

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    Menziona le “umiliazioni e mortificazioni” in reparto e la scarsa attenzione dei vertici al percorso di inserimento lavorativo di una giovane appena specializzata, fattori che hanno generato in lei «una paura mai provata nell’affrontare le pazienti e il lavoro inerente l’ostetricia, da provocare nel mio animo un’insicurezza e una debilitazione che hanno causato un forte calo di peso». E poi la conclusione: «Ho tentato di andare avanti nella speranza di entrare a Cles - scrive - Dottore, mi aiuti, la prego, mi indichi come dovrei comportarmi. Lavorare a Cles era il mio sogno»

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