Estratto dell’articolo di Guido Olimpio per www.corriere.it
BENJAMIN NETANYAHU JOE BIDEN
Uno scudo americano attorno a Israele, rinforzato con il passare dei giorni in risposta alle minacce crescenti dell’asse Iran-Hezbollah-milizie sciite. Il primo elemento è rappresentato dalla portaerei Ford in navigazione nel Mediterraneo orientale, da qualche parte a sud ovest di Cipro, cercando di stare oltre il raggio d’azione dei missili anti-nave in dotazione ai guerriglieri libanesi.
Al suo fianco la scorta, con capacità antiaeree e missilistiche in virtù dei cruise, in grado di colpire a lunga distanza. Ai suoi oltre 80 velivoli se ne aggiungeranno altrettanti quando arriverà la Eisenhower. […]
Nei giorni scorsi il Pentagono ha aumentato la presenza di caccia in alcune basi della regione: F15 Eagle sono stati trasferiti a Muwaffaq Salti, in Giordania, seguiti anche dagli A 10 per l’appoggio tattico. Questi velivoli possono intervenire nel caso fazioni filoiraniane cerchino di attaccare i numerosi avamposti statunitensi in Siria, creati in appoggio ad alleati locali ma anche per contenere l’estendersi della presenza militare iraniana.
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Altri caccia sono stati ridispiegati nelle installazioni nel Golfo Persico: gli Stati Uniti hanno il comando della Quinta Flotta in Bahrein e la disponibilità della base al Udeid, in Qatar. Ulteriori «siti» negli Emirati Arabi e in Arabia Saudita. Sempre che gli emiri non si mettano di traverso, anche se un coinvolgimento diretto degli ayatollah li allarmerebbe.
[…] Per diversi osservatori l’offensiva di Hamas ha cercato di bloccare il disgelo Riad-Gerusalemme. Washington ha poi ordinato alla 26th Marine Expeditionary Unit di muovere verso le coste dello Stato ebraico. A bordo del Batan e altre unità circa 2 mila marines, elicotteri, mezzi. La task force era «di guardia» nel Golfo di Oman e dunque ha bisogno di alcuni giorni per essere pienamente operativa. In stato d’allerta due mila militari americani che potrebbero essere basati sempre in Israele con compiti diversi: le fonti ufficiali parlano di assistenza nella logistica, supporto medico e ciò che potrebbe servire all’alleato.
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Una ripetizione di quando gli Stati Uniti, nel 1991, misero a disposizione le batterie di Patriot impegnate a intercettare gli Scud lanciati da Saddam Hussein. Intenso il supporto con almeno una dozzina di aerei cargo C 17 che hanno fatto la spola tra i depositi Usa e quelli israeliani con carichi di bombe di precisione per i jet, munizionamento per i sistemi missilistici, componenti. Due gli scali terminali: il Ben Gurion a Tel Aviv e la pista di Nevatim.
Nello spazio internazionale racchiuso tra Turchia e Israele sono operativi droni da ricognizione, velivoli per la guerra elettronica, aerei-radar. Spazzano, come si dice in gergo, il quadrante, captano, sorvegliano. Sono le sentinelle del cielo, possono dare l’allarme su mosse inattese. L’attività è in parallelo a quella dei mezzi israeliani: l’aviazione ha una dotazione robusta e sofisticata, da sempre (la mappa da @ameliairhear ricostruisce le «rotte»).
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Al pattugliamento si sono uniti i britannici con una componente aeronavale e i due «centri» ciprioti: ad Akrotiri e con la stazione d’ascolto sui monti Toodros. Invisibile il ruolo delle ombre. Nuclei di forze speciali e dell’intelligence Usa sono entrati in scena nelle ore successive al massacro, p ortati d’urgenza per aiutare Mossad, Shin Bet e Aman nel tracciare militanti, identificare possibili minacce, sfruttare al meglio le loro antenne. Avendo però in mente la drammatica lezione del 7 ottobre, con la tecnologia del muro superata da Hamas grazie a tattiche vecchio stile e armi a basso costo complice un dispositivo dell’esercito inadeguato.
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