Davide Casati per il "Corriere della Sera"
BARACK OBAMA E ENRICO MORETTI jpegE lui?
«Lui prendeva appunti, sul suo quadernetto».
Prendeva appunti?
«Sì. E mi ha fatto alcune domande».
Ad esempio?
«Sulle mie proposte di politiche di sviluppo industriale basate sull'hi-tech. E su una riforma del sussidio di disoccupazione che incentivi la mobilità dei lavoratori da regioni economicamente depresse ad altre più forti».
Enrico Moretti lo racconta con voce timida, come se fosse nulla. Ma quel «lui» che nel maggio dello scorso anno prendeva appunti mentre questo economista milanese (classe '68, da 13 anni docente all'università di Berkeley, in California) parlava, era il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Che lo aveva convocato con due giorni di preavviso («Fortuna che ero già sulla East Coast») insieme ad altri tre docenti (Peter Diamond del Mit, Larry Kazt e Richard Freeman di Harvard) nello Studio Ovale, per discutere le tesi del suo ultimo saggio, «La nuova geografia del lavoro».
Uno studio che sta facendo discutere molto, negli Stati Uniti: pochi giorni fa, a citarlo in un editoriale sul Financial Times , è stato il direttore esecutivo di Google, Eric Schmidt. «Credo conoscesse il mio lavoro perché Google mi aveva invitato a fare una presentazione», si schermisce Moretti. «Da parte loro c'è un interesse naturale per le tematiche del mio libro...».
ENRICO MORETTIIl saggio che ha appassionato Obama e Schmidt ruota intorno a un'intuizione: l'America non è una, ma tre. «Quella di città come New York, San Francisco, Austin, animate da una forza lavoro altamente istruita, innovativa e produttiva; quella di posti come Detroit, Philadelphia, Akron, che economicamente e demograficamente stanno scomparendo; e quella di mezzo, che potrebbe andare in entrambe le direzioni».
BARACK OBAMAMa soprattutto, Moretti ha scoperto che per ogni nuovo posto di lavoro in settori innovativi, in una città, ne nascono altri 5 in settori tradizionali (insomma: per ogni programmatore, cinque tra parrucchieri, commessi, camerieri, etc), meglio retribuiti rispetto alle stesse professioni svolte in metropoli meno innovative. Tradotto: se in una città nasce Facebook, a migliorare il proprio conto in banca non è solo Zuckerberg, ma anche l'elettrauto che in quella città lavora.
Ed è questo «effetto moltiplicatore» che ha conquistato Google - e la Casa Bianca, alle prese con una disoccupazione ancora tre punti più alta dei livelli pre crisi, quando era al 4,6%. «Mi ha fatto piacere l'interessamento di Schmidt, mi ha stupito l'attenzione di Obama per temi strutturali, che non gli sarebbero tornati immediatamente utili in campagna elettorale. Ma forse a stupirmi di più è stato l'interesse che questo libro ha suscitato nella "Terza America". Lì le persone s'interrogano su che fare per fermare il declino mostrando una maturità, e un coraggio, notevoli».
BARACK OBAMAQuella maturità che in Italia vede meno: «Il dibattito qui è avvitato. Un derby continuo: oggi sull'Iva, un mese fa sui pagamenti alle piccole imprese; al fischio finale si vede chi ha vinto e si cambia partita. Evitiamo di affrontare i nodi strutturali di un Paese in declino da 15 anni, che continua a perdere capitale umano a elevata capacità di innovazione: un salasso per il benessere del Paese».
ENRICO MORETTIAnche Moretti, in fondo, fa parte di quel capitale perduto: «Dopo la laurea in Bocconi, nel ‘93, volevo continuare a studiare. Sono partito con l'idea di tornare, ma le offerte di lavoro migliori sono capitate qui. Non c'è mai stato un momento preciso in cui ho detto: "metto radici in America". È stato un continuum».
Nel «continuum» c'è anche un figlio, di 4 anni, che Moretti si augura «assorba» il meglio dell'identità italiana: «Perché l'Italia, dal punto di vista culturale, è enormemente privilegiata rispetto ad altri Paesi. Ha un senso di famiglia e comunità molto forti, una cultura millenaria, e condivisa. Eppure se nascesse una Google in Italia, il suo creatore la esporterebbe nella Silicon Valley, perché quello che serve è un ecosistema produttivo. La sfida dell'Italia è tornare un ecosistema fertile per l'innovazione». Si può fare? «Certo. L'Italia non è la Silicon Valley, ora. Ma non è neppure Detroit».