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    TERAPIA OFFENSIVA – INCREDIBILE, DOBBIAMO ASSISTERE ANCHE ALLE AGGRESSIONI A MEDICI E INFERMIERI DA PARTE DEGLI SVALVOLONI NO VAX - C'E' CHI LI ACCUSA DI AVER PEGGIORATO LE CONDIZIONI DEI LORO CARI, CHI SPACCA I CASCHI DELL’OSSIGENO E CHI SI DIMETTE DALL’OSPEDALE E MUORE A CASA - LA TESTIMONIANZA: "È MOLTO FREQUENTE SENTIRSI DIRE CHE CI DOBBIAMO VERGOGNARE, CHE SIAMO PARTE DI UN SISTEMA CORROTTO”


     
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    1 - DELIRI NO VAX IN CORSIA «FATE MALE A MIA MADRE»

    Camilla Mozzetti, Mauro Evangelisti per “il Messaggero”

     

    terapia intensiva covid 1 terapia intensiva covid 1

    «Siete voi che state facendo del male a nostra mamma, il Covid non c'entra» urlavano i figli di una settantenne non vaccinata, intubata nella clinica di rianimazione dell'ospedale Torrette. Non volevano ammettere, fino all'ultimo, che la madre era in quelle condizioni perché l'avevano convinta a non immunizzarsi. 

     

    Racconta il primario, il professor Abele Donati: «Serve molta pazienza, utilizziamo molto del nostro tempo per parlare con i familiari No vax dei malati intubati. Non va sempre così: ci sono anche molti pazienti che, quando si riprendono, si rendono conto dell'errore commesso non vaccinadosi». 

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    Il professor Venerino Poletti è il direttore del Dipartimento toracico dell'Azienda sanitaria della Romagna e docente all'Università di Bologna. Dalla prima linea della Terapia sub-intensiva di Forlì l'altro giorno non ha frenato il suo carattere sanguigno romagnolo quando, in due occasioni, due pazienti No vax, un uomo e una donna, entrambi con respirazione assistita, hanno aggredito verbalmente le infermiere. 

     

    LA RABBIA 

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    «La cosa che più mi ha fatto arrabbiare - racconta - è che sono più volgari con le infermiere donne che con gli uomini». Hanno usato la parola «merde» e altre immaginabili quando si vuole offendere una donna e la cosa più incredibile è che nel reparto di Sub intensiva hanno salvato la vita di entrambi. Ma per la loro logica folle se stavano male, la colpa non era del Covid e dell'incoscienza di non vaccinati, ma di medici e infermieri. 

     

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    «Entrambi sessantenni, uno si occupa di finanza, l'altra è un'insegnante. Ecco, la cosa che mi sorprende è che stiamo vedendo non pochi insegnanti tra i No vax che finiscono in ospedale. Sia chiaro, per fortuna non va sempre così, molti ci ringraziano per averli guariti, ci dicono che si sono sbagliati e che convinceranno altre persone a vaccinarsi. Tra i pazienti No vax in sub intensiva purtroppo ci sono anche coloro che sono in quelle condizioni per amore: sono gli anziani che non se la sono sentita di dire di no ai figli No vax e non si sono vaccinati. Si sono fidati e ora stanno male. Ma tanti sono anche coloro che avevano avuto semplicemente paura del vaccino». 

     

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    All'ospedale San Martino di Genova il professor Angelo Gratarola, direttore dell'Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione, snocciola la statistica: su 30 pazienti in terapia intensiva, il 90 per cento non è vaccinato, gli altri sono o persone che non hanno avuto risposta immunitaria perché ad esempio sono pazienti oncologici o anziani che non hanno ancora ricevuto la terza dose: «Di fronte ai numeri, c'è poco spazio per l'ideologia - racconta - ma fa piacere quando vedi pazienti come un cinquantenne No vax appena guarito che ringrazia e dice di sentirsi un miracolato». 

     

    Anziano in terapia intensiva 3 Anziano in terapia intensiva 3

    In sintesi, secondo l'esperienza degli ospedali italiani: c'è una parte che finisce in terapia intensiva o sub-intensiva semplicemente perché aveva paura del vaccino e solitamente si pente, un'altra che si è fidato, sbagliando, dei consigli dei figli. E poi ci sono gli irriducibili, che fino all'ultimo negano anche l'evidenza e pur di non ammettere di avere sbagliato si scagliano contro i medici. E ciò che si poteva evitare resta ancora inevitabile. 

     

    Nel reparto di Terapia intensiva del policlinico Agostino Gemelli di Roma c'è una donna, con più di 80 anni, non vaccinata «che ha rifiutato di essere intubata, le sue condizioni - spiega Massimo Antonelli, direttore del Dipartimento di emergenza, anestesia e rianimazione - sono molto gravi, per ora la stiamo curando con il casco, speriamo non peggiori». 

     

    FRUSTRAZIONE

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    In questo reparto, che dal marzo 2020 ha trattato più di 1.400 pazienti gravi, di fronte a determinati atteggiamenti serpeggia anche la frustrazione: «Quelli che non ce la fanno - prosegue Antonelli - e hanno scelto di non vaccinarsi ti lasciano una profonda amarezza, sono morti che si sarebbero potute evitare». Sempre al Gemelli un uomo No vax over 40 tra i più conosciuti tatuatori della Capitale è stato a lungo ricoverato in terapia intensiva. 

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    Ha sconfitto il Covid e con le lacrime agli occhi quando ha lasciato il reparto sulle sue gambe ha detto ai medici: «Che grande errore che ho fatto a non vaccinarmi». «Qualche tempo più tardi abbiamo ricevuto una lista di persone - conclude Antonelli - uomini e donne che si sono vaccinati perché convinti dal paziente, ce l'ha inviata e spesso accade questo: i No vax che si salvano diventano i più forti sostenitori della campagna vaccinale. Purtroppo non sempre va così». 

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    Succede persino che pazienti gravi decidano di lasciare l'ospedale. «Abbiamo avuto tre uomini ricoverati in terapia intensiva - aggiunge Francesco Pugliese, direttore del Dea dell'Umberto I, altro policlinico della Capitale - che non erano intubati ma versavano in gravi condizioni, hanno firmato le dimissioni e pur provando a fermarli in ogni modo sono andati via. Sono poi morti a casa». 

     

    Soltanto giovedì pomeriggio Pugliese ha dovuto combattere per convincere tre uomini non vaccinati tra i 50 e i 60 anni ad accettare l'Ecmo, l'ossigenazione extracorporea. «L'unico modo per non perderli - commenta il primario - ma a volte è davvero difficile».

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    2 - «IN OSPEDALE HO PAURA DEI PAZIENTI NO VAX UNO HA DISTRUTTO I CASCHI DELL'OSSIGENO»

    Giulio Gori per il “Corriere della Sera”

     

    «A volte hai paura, per la tua stessa incolumità. Perché un no vax che protesta, ti offende e ti minaccia di metterti le mani addosso, ti mette in discussione nel tuo lavoro, ti fa entrare l'angoscia solo per infilare un ago. Non sei più sicura di quel che fai». 

     

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    Dopo la denuncia di Vittorio Pavoni, primario della terapia intensiva Covid dell'ospedale fiorentino di S. Maria Annunziata a Ponte a Niccheri, sulla difficile convivenza tra sanitari e pazienti no vax più convinti, ora nello stesso ospedale c'è chi ammette di non aver ricevuto soltanto recriminazioni, ma anche minacce e intimidazioni, fino ad aver assistito a veri atti di violenza. Come un'infermiera del pronto soccorso. 

     

    Lei ha ricevuto minacce da pazienti no vax? Di che tipo? 

    «Ti metto le mani addosso, è la peggiore. Quando ti avvicini con una siringa e ti senti dire una cosa del genere, la mano ti trema, non sei più capace di fare il tuo lavoro». 

     

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    Sono cose che accadono spesso? 

    «Non succedono spesso, ma non sono casi isolati. È invece molto frequente sentirsi insultata, sentirsi dire che ci dobbiamo vergognare, che siamo parte di un sistema corrotto. Ed è frequente trovarsi di fronte a pazienti che non vogliono essere curati, ma che sono in chiara ipossia (carenza di ossigeno, ndr ) e quindi non hanno la lucidità sufficiente per decidere per sé stessi. Così noi dobbiamo provare a curarli e succede anche che esploda la follia violenta». 

     

    A cosa si riferisce? 

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    «Personalmente mi è successo una sola volta. Con un paziente che ha spaccato due caschi per l'ossigeno. Aveva 65 anni, no vax, positivo al coronavirus. Viene ricoverato al pronto soccorso di un altro ospedale, dove risulta positivo, ma poi decide di tornare a casa. Contro la sua volontà, viene portato dall'Usca (l'unità medica mobile a domicilio, ndr) in pronto soccorso, stavolta il nostro di Ponte a Niccheri, perché ha difficoltà a respirare. Ma ci offende, ci insulta, parla di "dittatura sanitaria", nega di avere il Covid, finché non diventa violaceo, non respira davvero più e allora accetta il casco per l'ossigeno. Quando, dopo un'ora, un'ora e mezzo, comincia a respirare meglio, se lo toglie spaccandolo, davanti a noi sanitari spaventati. Ma quando se lo toglie, poco a poco diventa blu una seconda volta, così gli dobbiamo mettere un altro casco per l'ossigeno, finisce per sentirsi meglio e spacca anche quello». 

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    E voi che cosa avete fatto? 

    «Abbiamo dovuto ricoverarlo nel reparto Covid (in realtà il paziente, in base a una seconda testimonianza, aveva addirittura lasciato il pronto soccorso, firmando le dimissioni, per stramazzare a terra su un'aiuola a pochi metri dall'ingresso dall'ospedale, ndr ), dove ho saputo che ha continuato a fare la guerra per non essere curato». 

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    Com'è finita? 

    «È morto». 

     

    Cosa le resta di quell'esperienza? 

    «Che su una cosa, almeno una, quel paziente aveva ragione». 

     

    Quale?

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    «Era la scorsa estate, lui ci stava urlando un sacco di insulti, ma uno in particolare mi è rimasto impresso: "folli". Ci pensai bene e mi trovai d'accordo con lui per una volta, mi resi conto che un po' folli dobbiamo esserlo: bisogna essere folli per stare per ore dentro dei sacchi della spazzatura come vestiti, a 40 gradi per curare qualcuno che "non ha niente" o che comunque non vuole essere curato. E bisogna essere ancora più folli per continuare a farlo dopo due anni di pandemia. Quel che resta è l'amaro in bocca. Noi abbiamo imparato che dobbiamo curare tutti. Ma oggi facciamo fatica a rispettare il nostro giuramento».

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