Estratto dell'articolo di Luigi Mascheroni per il Giornale
C ERA UNA VOLTA IL WEST
Il western, in fondo, è il cinema come si faceva una volta. CinemaScope maestoso, dialettica uomo-natura, un universo da cui le donne sono bandite, ma quando entrano in scena bisogna togliersi lo Stetson in segno di rispetto, Barber shop, la vendetta come spietato Rasoio di Occam che risolve in un lampo di Colt ogni problema, ranch, imperi, la Frontiera, i nativi americani, bande di fuorilegge, Monument Valley e caratteristi monumentali, sceriffi, eroi solitari (dietro i quali c’è sempre una comunità...) e zero retorica, troppo ingombrante da portarsi dietro nella bisaccia.
Ecco forse perché è un cinema che non è mai piaciuto molto al pubblico femminile, e oggi forse neanche più ai ragazzi (sì, certo, i due western di Quentin Tarantino forse hanno recuperato al genere qualche spettatore della Netflix generation...).
C ERA UNA VOLTA IL WEST 2
La grandezza del cinema consacrato al mito del West americano è indiscutibile. Ciò che invece si può dibattere è quali film costituiscano il canone western.
Ci prova, proponendo un elenco ragionato dei cento migliori western di tutti i tempi e i Paesi, il libro La collina degli stivali, curato da Mauro Gervasini e pubblicato come primo numero dei «Quaderni di Film Tv» che raccoglie le schede critiche del “Best of the best of the West” (l’orribile calembour è nostro) di una fra le più autorevoli riviste di cinema in Italia.
c era una volta sergio leone (12)
Comunque, al di là dell’opinabilità della lista, occorre dire che Mauro Gervasini, direttore storico di Film Tv («La collina degli stivali», che nella lingua del West indica il camposanto, era il titolo di una sua seguitissima rubrica), critico e selezionatore della Mostra del cinema di Venezia, è un cultore assoluto del genere, e occorse fidarsi. Cento film, cento schede- una colonnina di riassunto e una di analisi - più dieci titoli outsider (opere apparentemente marginali, ma imperdibili, una per tutte: il film francese Sole rosso di Terence Young, del ’72, con Charles Bronson, Ursula Andress e Toshiro Mifune, che uscì in sala contemporaneamente a Giù la testa di Sergio Leone ma incassò molto di più).
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Uno. L’elenco proposto da La collina degli stivali non è una classifica in ordine di «qualità»; ma un elenco alfabetico, da A sud-ovest di Sonora di Sidney J.
Furie del 1966 a Winchester ’73, primo dei cinque western diretti da Anthony Mann con James Stewart protagonista. Due. A volte il giudizio sulla bellezza del film, in termini assoluti, è sacrificato in nome della sua importanza all’interno della storia del western: ad esempio C’era una volta il West per Gervasini non è il miglior film di Sergio Leone, e neanche fra i migliori del genere, ma lo inserisce fra i Most wanted perché il suo valore è appunto universalmente riconosciuto.
gervasini cover
Tre. Non c’è neppure bisogno di cominciare col giochino del «chi c’è - chi non c’è», «Io avrei messo questo...», «Ma perché non c’è quest’altro...». Gervasini per noi è la Cassazione in materia, e i film selezionati bastano e stra-avanzano (la vera domanda semmai è: «Chi li ha visti tutti e cento?»).
Film che (ri)vedremmo volentieri: I cancelli del cielo, il più grande disastro economico della storia del cinema, regia di Michael Cimino, anno 1980, troupe di 600 persone, 220 ore di girato (!), versione uncut di 216 minuti, resa dei conti definitiva con il sogno americano; Un dollaro d’onore di Howard Hawks, 1959, il film dal copione perfetto (e il dollaro gettato nella sputacchiera è il primo lontanissimo ricordo cinematografico di chi scrive, visione televisiva con papà, metà anni Settanta); Quel treno per Yuma, di Delmer Daves, 1957 con Glenn Ford e Van Heflin (alla faccia del remake), anche solo per ascoltare ancora 3:10 To Yuma cantata da Frankie Laine.
L ULTIMO DEI MOHICANI 19
Film che non abbiamo mai visto e vorremmo vedere su consiglio imperioso di Gervasini: Quaranta pistole di Samuel Fuller, 1957, che inizia con un’inquadratura interno-esterno di 3 minuti e 16 secondi, tutta in dolly, quando ancora non erano arrivati i droni e la loro miseria visiva («Dopo aver visto Quaranta pistole- scrive Gervasini- osi guarda un Melville o è meglio stare al buio»); La tortura della freccia di Samuel Fuller, 1957, non fosse altro perché l’eroe è un sudista, e la parte sbagliata della storia è sempre letterariamente e cinematograficamente la più interessante; e Il grande silenzio di Sergio Corbucci (a proposito: avete mai notato che i migliori registi italiani di western hanno lo stesso nome di battesimo: Leone, Sollima e Corbucci?), anno 1968, girato sulle Dolomiti e con spettacolare finale in cui trionfano i cattivi (olè!).
uomini e cobra
Per il resto, dovendo rubare dall’enorme tesoro del cinema western due diamanti, sceglieremmo: i sette minuti della corsa di Daniel Day-Lewis e degli Uroni, fino alla morte di Magua, nel sottofinale di L’ultimo dei Mohicani, e non solo per la colonna sonora di Trevor Jones e Randy Edelman. E il sottinteso del film Uomini e cobra (1970), applicabile a quasi tutto il cinema western. E cioè che tra gli uomini e il cobra è sempre meglio fidarsi di chi striscia.