Riccardo Staglianò per "il Venerdì di Repubblica"
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Un'importante lezione di The Dropout è che quando una donna con un fucile caricato a sogni raccontati bene incontra un uomo con una pistola di obiezioni basate sulla scienza, il secondo è un uomo morto.
È quel che succede, la prima volta metaforicamente, al ricercatore asiatico che assiste con orrore a trial clinici su malati oncologici di un metodo rivoluzionario per fare esami del sangue a partire da una singola goccia. Lui sa che Theranos non funziona e non vuole varcare quel Rubicone etico. Anche Elizabeth Holmes, la fondatrice interpretata da Amanda Seyfried, lo sa benissimo, ma se ne frega.
The Dropout la serie
«Non funziona ancora, funzionerà» ripete in uno dei tanti training autogeni a cui si sottopone con gusto. Il ricercatore lascia, e lei lo sostituisce con uno meno incline al dubbio. La seconda volta però, nella collisione tra il "senso grandioso del sé" della ragazza che voleva essere Steve Jobs e le più modeste istanze della razionalità, ci scappa il morto.
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Sì, perché quando il veterano dei chimici del suo laboratorio comincia a vacillare e a prendere le distanze prima la Holmes lo licenzia, poi lo riassume bullizzandolo fino al suo suicidio (che lei pragmaticamente festeggia come la scomparsa dell'unico testimone che, in un'eventuale causa, avrebbe potuto metterla in difficoltà).
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Benvenuti nel dietro le quinte della startup arrivata a valere oltre nove miliardi di dollari e che, con una formula che se fosse tassata a ogni uso farebbe collassare le finanze di Big tech, voleva «rendere il mondo un posto migliore» democratizzando l'emocromo.
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La storia era troppo brutta, e quindi cinematograficamente troppo bella («Bontà e felicità sono come vernice bianca sulla pagina: non si vedono» spiegò definitivamente il critico francese Henry de Montherlant), per non essere adattata per lo schermo, oggi piccolo domani anche grande per la regia dell'Adam McKay di Don't Look Up.
Le gesta della biondina di buona famiglia che dopo il primo anno di chimica lascia Stanford (il "dropout" del titolo della serie trasmessa in Italia da Disney+ si riferisce a questo, ma evoca anche le gocce di sangue) corrispondono all'idea platonica di quando l'ambizione diventa hybris, tracima dagli argini e travolge tutto quello che incontra.
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Zero empatia
Elizabeth Holmes, da quel che si evince dal racconto televisivo, è la classica ragazzina con l'empatia di un frigorifero (quando diventa amministratrice delegata chiede alla segretaria di scegliere un regalo per un suo amico perché «non sa cosa piace alla gente»), che canta e balla da sola, con un'unica certezza, cementata dal licenziamento improvviso del padre manager di Enron: diventare miliardaria.
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In Cina conosce Sunny Balwani, che ha già fatto un sacco di soldi vendendo un'azienda di software, e con il quale inizia una relazione clandestina perché lui è sposato, ha quasi vent' anni di più ed essendo pachistano non calza benissimo con le sue ambizioni di scalata sociale (diventerà una versione maschile di Lady Macbeth, in un rapporto indecifrabile di odio-amore, con pochissimo amore).
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L'idea imprenditoriale è a prova degli stringatissimi intervalli di attenzione della Silicon Valley: addio siringhe, addio infermieri, ben arrivate macchinette che con una puntura di spillo in farmacia potranno dirvi come state. Il primo convertito è un venture capitalist padre di una compagna del liceo di Elizabeth che sgancia otto milioni di dollari.
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Da lì la ragazzina, che impara ad abbassare il tono della voce per sembrare più autorevole, colleziona un fan dopo l'altro e infarcisce il consiglio di amministrazione di un dream team che va da Henry Kissinger all'ex segretario di Stato George Shultz. L'anziano ministro degli esteri di Reagan ci crede così tanto che fa assumere il nipote il quale, in poco tempo, fa il giro completo da evangelista a pentito (una delle scene più strazianti è quando, al trentesimo compleanno della fondatrice, sebbene già rinsavito lui suona e canta una canzoncina elegiaca che la paragona a Galileo).
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Sì, perché da dentro si capisce che è tutta una montatura, che le presunte macchine miracolose fanno cilecca, ma a nessuno sembra interessare granché. Quando i finanziatori chiedono prove la Holmes prende tempo, bluffa e tutti ci cascano.
Inchiesta e processo
Tutti tranne John Carreyrou, del Wall Street Journal, che riceve un'imbeccata e si mette a scavare. Controvento, perché Shultz era l'uomo che aveva messo fine alla Guerra fredda e dubitare del suo acume non ti rende popolare. Nel frattempo la Holmes, che pensa sempre più in grande, arruola Errol Morris, il miglior documentarista vivente, per girare uno spot su di lei.
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Il regista le chiede quale sia la sua aspirazione e lei: «Che le persone non debbano dire addio troppo presto a chi amano». È ormai un modello: finalmente una donna alla guida di una startup importante. È in copertina su Forbes, Fortune, persino il New Yorker si azzarda a lodare il suo «grande cuore».
Joe Biden, allora vice di Barack Obama, la cita come esempio di coraggio e talento. Quando finalmente arriva l'autorizzazione della Fda da Theranos organizzano un baccanale: erano i primi a non credere che i regolatori ci sarebbero cascati. Eppure. La serie sfuma sul processo innescato dall'inchiesta giornalistica.
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A marzo la ragazza col dolcevita nero è stata ritenuta colpevole di quattro degli undici capi di imputazione, tra cui aver frodato gli investitori e i pazienti. La sentenza arriverà in autunno. Lo spettatore può partecipare al fanta-processo dopo essersi avventurato nelle pieghe della sua psiche.
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