Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
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Google introduce limiti importanti alla pubblicità elettorale fatta con tecniche di microtargeting, come quelle psicografiche utilizzate, ad esempio, per individuare gli elettori psicologicamente più vulnerabili. Comunicata ieri da Google, non è una scelta netta, come la totale messa al bando della pubblicità politica decisa di recente da Twitter. Ma avrà un impatto rilevante, forse già sulle elezioni britanniche del mese prossimo e poi sulle presidenziali Usa 2020.
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L' efficacia dei nuovi paletti è tutta da verificare: gli inserzionisti potranno continuare a prendere di mira elettori specifici selezionati in base a età, sesso, posizione geografica, ma non potranno più usare parametri politici, culturali, psicologici. È comunque importante che uno dei due grandi collettori della pubblicità politica digitale abbia iniziato a introdurre severe limitazioni.
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Un atto che da un lato rappresenta un' ammissione implicita che negli anni scorsi la situazione su questo fronte era sfuggita di mano; dall' altro aumenta la pressione sul maggiore inserzionista, Facebook, che, dopo aver negato a lungo di voler introdurre vincoli, da qualche tempo ha fatto trapelare che è in corso un ripensamento.
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I motivi per essere scettici non mancano: è ormai chiaro che nella campagna 2016 Trump ha tratto grande vantaggio dalla campagna digitale organizzata dal suo genio informatico Brad Parscale utilizzando i servizi di Cambridge Analytica, che era riuscita a mettere le mani sul database di Facebook relativo a oltre 80 milioni di americani. Dati ottenuti illegalmente su cui Facebook non aveva esercitato adeguata sorveglianza, pur essendosi resa conto di quanto stava accadendo.
mark zuckerberg se la ride in audizione al congresso
In genere chi si accorge di aver sbagliato corre ai ripari e cerca di mostrarsi in buonafede. Non è il caso di Facebook che ha continuato a minimizzare e a temporeggiare. E continua a rifiutarsi anche di bloccare i messaggi degli inserzionisti politici palesemente falsi.
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Anche Twitter e Google evitano di sottoporre a fact-checking i messaggi politici, ma ora Google fa sapere che adotterà nuove misure contro la disinformazione in rete limitando i pericolosi contenuti deepfake (video falsi che mostrano persone reali, e sembrano veri, ndr ) e bloccando gli spot quando l' infondatezza del loro contenuto è evidente.
Ora tocca a Facebook. Non è azzardato ipotizzare che il suo fondatore Marc Zuckerberg sia sottoposto a pressioni della Casa Bianca, interessata ad evitare l' introduzione di limiti significativi. Parscale, nel frattempo diventato lo stratega della campagna per la rielezione di Trump, si vanta di aver messo a punto gli strumenti informatici più sofisticati per trainarlo verso la conquista del secondo mandato, ma ha bisogno di avere le mani libere.
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Quanto a Trump, ha reagito con rabbia quando Twitter ha deciso di abbassare la saracinesca. E nell' ultimo mese ha voluto incontrare per ben due volte Zuckerberg. Il secondo incontro, svoltosi alla presenza di Peter Thiel, l' unico tecnologo della Silicon Valley che ha appoggiato Trump fin da quando era un outsider, è stato tenuto segreto contro ogni regola di trasparenza sulle attività del presidente, fino a quando è trapelato per indiscrezioni di stampa.
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