Andrea Montanari e Andrea Pira per “Milano Finanza”
RETELIT
Il Tar del Lazio ha dato torto a Palazzo Chigi in merito al ricorso alla golden power su Retelit. La decisione del Tribunale amministrativo è stata motivata dalla carenza di una «valida istruttoria» circa i presupposti per applicare i poteri speciali e quindi imporre condizioni alla società attiva nei servizi digitali e infrastrutture nel mercato delle telecomunicazioni, cui era stata anche inflitta una sanzione amministrativa pecuniaria.
La Presidenza del Consiglio, che farà presumibilmente ricorso al Consiglio di Stato, si era rivolta all' Agcom per valutare se gli asset Retelit fossero o meno strategici, ricevendo parere positivo. «Benché non obbligatorio il parere ha rivestito un' importanza centrale», scrivono i giudici. A rilasciare il documento era stato però il segretario generale dell' Autorità di Garanzia nelle Comunicazioni, che tuttavia, secondo i giudici, non ha potere di rilasciare pareri, attribuito invece alla competenza deliberativa del Consiglio.
giuseppe conte
Da ciò la decisione di accogliere il ricorso di Retelit assistita dallo studio Chiomenti, che ha agito con i partner Filippo Modulo, Marco Maugeri e Italo De Santis e dallo Ielo-Mangialardi. La vicenda trae origine dal rinnovo del consiglio di amministrazione di Retelit, deliberato in sede di assemblea degli azionisti il 27 aprile 2018. Nell' occasione i libici di Bousval, assieme ai tedeschi di Axxion e a Svm, avevano presentato una lista di maggioranza per il rinnovo del cda contrapposta a quella di minoranza presentata da Fiber 4.0, la società che fa capo al finanziere Raffaele Mincione.
I DOCUMENTI PUBBLICATI DA LIBERO SUL CONFLITTO DI INTERESSI DI GIUSEPPE CONTE SUL CASO RETELIT
La vicenda aveva toccato da vicino lo stesso Conte. Due settimane prima di diventare presidente del Consiglio, firmava infatti, in qualità di consulente, un parere pro veritate che si inseriva all' interno della guerra tra azionisti che si contendevano la guida della società di tlc. Per questa ragione, una volta a Palazzo Chigi a capo della coalizione giallo-verde, il premier si era astenuto dalle decisioni, dovendo anche riferire in Parlamento sulla vicenda.