Massimo Gramellini per il Corriere della Sera
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«Solo a una domanda, che lo investiva a ondate regolari con affanno, il principe Mishkin non sapeva rispondere: perché, Signore, i bambini muoiono?». (Dostoevskij, L’idiota).
Nella smania di dare un senso a qualcosa «che un senso non ce l’ha» (questo invece è Vasco Rossi), quando un bimbo muore di morte violenta la nostra mente si affanna alla ricerca del Cattivo.
Il maniaco assassino, lo scafista senza scrupoli, il gestore sciatto della funivia, il pirata della strada. Qualcuno a cui addossare la responsabilità dell’evento più inesplicabile e inaccettabile della condizione umana. Se proprio non si trova nessuno, si dà la colpa allo Stato, che sembra messo lì apposta.
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Ma nella storia del piccolo Tommaso investito all’Aquila da una macchina parcheggiata mentre giocava nel cortile della scuola, il Cattivo semplicemente non c’è. Possiamo provare a prendercela con la signora che ha parcheggiato l’auto su una rampa senza magari sincerarsi che fosse scattato il freno a mano. Con il figlio rimasto a bordo che peraltro nega di averlo disattivato lui. Con la scarsa robustezza del cancelletto che l’auto ha divelto nella sua corsa o con l’ubicazione della scuola in una strada troppo stretta per consentire parcheggi comodi.
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Possiamo prendercela con il mondo intero, ma in cuor nostro sappiamo che è stata una disgrazia. E di fronte alle disgrazie si rimane senza capri espiatori, quindi senza parole. Si può solo andarle a cercare in un libro sacro o in Dostoevskij.
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