Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
arbasino albertazzi memè perlini
Spero che tutti coloro che invocano una programmazione televisiva di qualità (ne abbiamo bisogno, molto bisogno), che desiderano riscoprire la nostra cultura, spero di tutto cuore che seguano la riproposta di «Match», il programma condotto da Alberto Arbasino che metteva a confronto due personalità di idee opposte (le puntate sono dieci, gli ospiti tutti di grande livello; «Match» va in onda il martedì sera su Rai Storia ma è visibile anche su RaiPlay).
L' altra sera, tanto per fare un esempio, si parlava di teatro e si confrontavano Giorgio Albertazzi e Memè Perlini. Fatti i dovuti elogi alla conduzione di Arbasino (essenziale, competente, mai prevaricante) si spalancava un mondo ancora oggi di grande interesse.
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A confronto c' erano due concezioni di teatro, quello delle compagnie di giro o dei Teatri Stabili, con i loro canoni della rappresentazione teatrale ancora condizionata dagli stilemi ottocenteschi, e quello delle avanguardie degli anni 70, in particolare quella «officina creativa» che fu Roma dopo il '68, quando si incrociavano arte e politica, spinte collettive e motivazioni individuali.
E qui la mente corre a quegli anni fiammeggianti, al ruolo egemone di Strehler e del Piccolo Teatro, al formidabile lavoro critico e organizzativo di Franco Quadri e del Club Nuovo Teatro. Arbasino invocava un civile confronto ma Memè Perlini era particolarmente aggressivo, persino livoroso («Albertazzi è un televisivo da Carosello , un attore fallito»).
Spalleggiato da alcuni critici altrettanto animosi, Perlini si rivolgeva al suo interlocutore con aria di supponenza (nel 1977, quando l' abbiamo visto per la prima volta, sicuramente parteggiavamo per lui), con le parole d' ordine dell' avanguardia culturale tipica di quel periodo che oggi però suonano artefatte e anche un po' ridicole (già allora Arbasino notava che Perlini «è pieno di certezze assolute»).
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