Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
jury chechi
Il Signore degli Anelli è sul palco, illuminato da un riflettore. Parla alla platea, spiega come i valori dello sport possano aiutare nel lavoro e nella vita. Jury Chechi, uomo-simbolo della ginnastica azzurra, olimpionico e pluri-iridato, è un bravissimo comunicatore, a volte perfino istrionico.
Gli «speech» per i dipendenti delle aziende sono diventati – assieme a un agriturismo nelle Marche e a un’Academy ginnica – la sua nuova dimensione. Venti-trenta minuti, non di più. Condotti con carisma e sottolineati da applausi scroscianti quando conclude con la stessa bravura con cui usciva dagli attrezzi e atterrava sulle pedane.
Jury Chechi o Chechi Jury, come direbbe Michele Foresta, alias Mago Forest?
jury chechi il circolo dei mondiali
«Michele è un amico. Un giorno mi ha chiesto se poteva usare quella gag. E io: “Ma se l’hai già sfruttata un sacco di volte!”. Comunque, va bene Jury Chechi-Chechi Jury: così, uniti».
Prendiamo il toro per le corna: la ginnastica è nella bufera per gli abusi denunciati da alcune ex atlete della ritmica. Lei che idea s’è fatto?
«Aspetto la conclusione delle indagini. E se fosse tutto vero si dovrebbe trovare una soluzione affinché certe cose non si ripetano. Mi pare comunque strano che la federazione sia caduta dal pero dichiarando di non saperne nulla».
Ai suoi tempi ci sono stati episodi di body shaming?
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«A livello maschile dico di no. Peraltro per tutti noi ginnasti il rapporto con il cibo è laborioso e complicato».
Ha lo stesso nome di Gagarin: ha mai pensato di fare l’astronauta?
«Mai. Sognavo di fare il ginnasta per vincere i Giochi olimpici: avevo le idee molto chiare fin da bambino».
Ma lassù, agli anelli, non è un po’ come andare nello spazio?
«No, è diverso: hai il controllo totale della gravità, del corpo. Nello spazio, invece, galleggi».
Deve molto a sua sorella.
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«Se non avesse praticato la ginnastica, non avrei nemmeno iniziato. L’ho vista allenarsi e dissi che avrei voluto provare anch’io. Mia madre mi portò in palestra e così è nato tutto».
Aveva qualche alternativa?
«Il ciclismo: papà era appassionato. Io sono stato “saronniano”, ma sono amico pure di Francesco Moser».
I sacrifici imposti dalla ginnastica sono spiegabili?
«La verità è che non ho mai fatto sacrifici, ma solo scelte: a 14 anni ho deciso di trasferirmi a Varese perché lì c’erano strutture e condizioni per compiere un salto di qualità. Sacrificio è quando devi fare qualcosa che non ti va: io ho invece sempre fatto ciò che mi piaceva, usando però sempre rigore e disciplina».
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Perché alla fine ha puntato sugli anelli?
«All’inizio ero più bravo al corpo libero. Invece dopo la rottura del tendine d’Achille, che mi è costata la rinuncia ai Giochi di Barcellona, mi sono dovuto specializzare negli anelli. Il tendine era riattaccato, ma non era più lo stesso».
La ginnastica è soggetta alla valutazione dei giudici. E non sono mancate le polemiche. Lei ha sempre avuto la sensazione di essere stato valutato in modo corretto?
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«No. E non sempre gli errori sono stati commessi in buona fede, il che sarebbe stato in qualche modo giustificabile».
Stiamo parlando dei Giochi di Atene e del trattamento riservato alla medaglia d’oro Dimosthenis Tampakos, guarda caso un greco?
«Ad esempio... Quello è stato proprio uno sbaglio fazioso, voluto, in malafede. D’altra parte bisogna anche saper accettare certi episodi».
Lei ha detto che sarebbe stato da premiare con l’oro il bulgaro Jordan Jovtchev e non Jury Chechi.
«Sì, meritava di più lui, medaglia d’argento davanti a me».
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È vero che la fama fa grado e che un campione è oggetto di benevolenza da parte dei giudici?
«Sì, può capitare l’opposto rispetto al cliché abituale della decisione contraria. Anche a me è successo di vedere perdonati alcuni errori: ho vinto gare che forse avrei dovuto perdere».
Due Giochi, Barcellona e Sydney, persi per infortunio. Quanto è difficile convivere con i duri momenti?
«Per me è stato tutto più facile perché alla fine ho comunque raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato. Ma per ripartire è servito uno sforzo mentale più duro di quello fisico».
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Il professor Perugia dopo il secondo stop aveva pronosticato la fine della carriera: gli ha mai rinfacciato la previsione?
«È stato lui a fare ammenda, rammento ancora oggi la sua telefonata: ha confessato che non credeva nel recupero».
La notte dell’oro olimpico ad Atlanta era un momento da predestinato?
«Diciamo che il mio talento doveva finalmente trovare la giusta direzione. Predestinato? Non lo so, ma la differenza l’ha fatta il lavoro».
Non riusciva a fare pipì e ad assolvere al controllo antidoping: è rimasto sul luogo del trionfo fino alle 3 del mattino.
«Da giorni bevevo pochissimo! Volevo andare a dormire e imploravo di darmi la birra, che è diuretica. No, la birra no, ribattevano. Alla fine me ne hanno date due dita: sono bastate».
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Aveva promesso a papà di fare di tutto per andare ai Giochi 2004.
«Era stato male, era finito in coma farmacologico. Non riuscivo a comprendere se capisse o meno. Ma ci facemmo una promessa reciproca: se guarisci, io non mi ritiro e provo a tornare all’Olimpiade. Lui ci teneva molto, ne avevamo già parlato prima che si ammalasse. Per me è stato uno stimolo determinante: nella vita le motivazioni sono tutto».
I suoi figli saranno a loro volta assi della ginnastica?
«Hanno provato, però non gliene frega nulla. Anastasia fa equitazione ad alto livello, è molto brava nel completo. Dimitri, invece, s’era dedicato allo judo ed era forte. Però un’ernia genetica l’ha costretto a smettere».
Jury Chechi s’è dato pure alla politica: ma è stato criticato quando ha sostenuto il candidato sindaco di Prato del centro-destra.
«Da giovane sono stato consigliere comunale per il centro-sinistra e per quell’area ho quasi sempre votato. Ma non ho ideologie particolari, io guardo al valore di chi è in lizza: voto le persone e i programmi».
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Anche i figli hanno nomi russi: però lei ha attaccato il ginnasta Ivan Kuliak che ha messo sulla tuta la Z diventata simbolo della guerra in Ucraina. Non è una contraddizione?
«I nomi nascono dal fatto che mi piacciono i russi. Ma questo prescinde da altre valutazioni, ad esempio condannare Putin per l’invasione».
Quale personaggio del Signore degli Anelli vorrebbe essere?
«Boromir, che nella saga rimane dalla parte delle forze del Bene a differenza di altri».
È molto legato ad Antonio Rossi, anche per iniziative benefiche.
«Antonio è un amico. Anzi, è un fratello. Qualsiasi cosa facciamo assieme è utile e pure divertente. E ci piace aiutare chi ne ha bisogno».
Ci racconta la sua «toscanità»?
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«Amo la mia regione e sono molto toscano. Ma mi sento anche marchigiano, lombardo, siciliano... Non capisco provincialismi e campanilismi».
Teme il decadimento fisico?
«Assolutamente sì. Ci lavoro giornalmente per combatterlo, anche se prima o poi dovrò affrontarlo».
Lei è un fautore dell’allenamento calistenico: ce lo spiega?
«Unisce la forza alla bellezza del gesto. Propone gli esercizi di base della ginnastica artistica, adatti a tutti. Eseguiti al meglio, evitano il decadimento fisico di cui parlavamo».
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Ha girato uno spot per «Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli», film della Marvel.
«Di pubblicità ne faccio poca e solo se mi appaga. Mi piaceva l’idea degli anelli, quando me l’hanno proposto ho subito aderito».
Qual è stato il miglior Jury Chechi televisivo?
«Secondo me deve ancora arrivare. Posso imparare di più».
Ma il Circolo degli Anelli, durante i Giochi di Tokyo è stato un trionfo. E ora è in onda per il Mondiale di calcio.
«Penso che per fare buona televisione bastino un po’ di competenza e la correttezza».
Ha fatto anche l’arbitro nel remake di Giochi senza Frontiere.
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«Dissi sì, amavo quella trasmissione degli anni 60 e 70. Purtroppo quando ho visto il format ho capito che era un po’ diverso da quello precedente. Difatti dopo un’edizione è finito tutto. Peccato: sarebbe stato bello riproporre i Giochi senza Frontiere dell’epoca».
A 53 anni ha una forma invidiabile. Deduzione: Jury Chechi a tavola non sgarra.
«No, sgarro eccome. Adoro la pizza: quando eccedo è per quella».
I Giochi olimpici sono diventati qualcosa di ipocrita? Dovrebbero celebrare la pace, però il mondo è spesso in guerra.
«Purtroppo è vero. Ma abbiamo un bisogno enorme di portare ancora avanti il messaggio olimpico: lo spirito dei Giochi è quanto di più importante ci sia».
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Si candiderà mai alla presidenza del Coni?
«Non ho capacità e caratteristiche per fare la politica sportiva. Lo dico con dispiacere e orgoglio. Avrei potuto candidarmi a fare il presidente di una federazione, cambiando lo Jury Chechi che sono. Ma non è giusto e non lo faccio».