Renato Franco per corriere.it
gianluca grignani
«Sono arrivato a mezzo secolo. Mi sento l’uomo che volevo essere da bambino, finalmente». I 50 anni di Gianluca Grignani sono stati un giro sull’ottovolante, ascese e cadute, tonfi e risalite, successi ed eccessi, tormenti e dubbi. Il suo parlare assomiglia a un flusso di coscienza, tra domande irrisolte (chi non ne ha?) e dilemmi, un modo di ragionare che sembra abolito in questa società che ormai rifiuta i toni dei grigi (o di qua o di là, la complessità come se fosse un disvalore).
«È la prima volta che festeggerò un compleanno, ma lo farò da solo, la festa importante verrà più avanti. Mi sono comprato una torta gigante che poi mangeranno i miei figli che mi verranno a salutare». Così all’inizio della conversazione. Poi ci riflette, alla fine, forse non sarà così: «Tra auguri e mica auguri volevo star da solo, ma andrà a finire che non ci starò».
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«Non sono una persona equilibrata / Ed ho l’anima sdoppiata / Che ogni tanto viene su». Più di 20 anni fa ha scritto «The Joker» e se lo è anche tatuato sulla spalla. Quest’anima doppia è ancora parte di lei?
«Sì, non ci posso fare niente, è come un tarlo. C’è il Joker buono e quello cattivo; quello cattivo l’ho chiuso in una gabbia e rimane lì; quello buono ogni tanto esce, soprattutto sul palco. Io sono uno che pensa molto, quando sono da solo a volte parlo come se fossi due persone, ma non sono bipolare. Sono anche andato da uno psichiatra tre volte per essere sicuro di non esserlo. Però forse lo psichiatra lo era...».
Il Joker cattivo non esce più?
«Se esce lo rimetto dentro, ma ormai è anni che non si fa vedere. Io l’ho visitata la parte oscura, non è quella che ti fa fare le cazzate, è proprio un’anima stronza che bisogna tenere a bada».
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Nel giorno del suo compleanno esce il nuovo singolo «A Long Goodbye» in cui racconta l’esperienza personale ed emotiva legata alla separazione.
«Ho scritto questo brano in quindici minuti di sofferenza capitalizzati al massimo. Mi sono separato dopo 25 anni e quattro figli, ho fatto un cambio di vita radicale, è una canzone di distacco reale, toccante e crudo. Oggi mi sento come se fossi vergine della vita che arriva».
Ho fatto musica soffrendo.
«Non pensavo che un artista riuscisse a soffrire così tanto. Tutti noi, quando ascoltiamo una canzone che ti rende nostalgico, proviamo una sensazione di piacevole fastidio. Oggi è come se fossi particolarmente a fuoco sul mio lavoro, aperto a una nuova energia che non pensavo esistesse: sentire così tanto l’emozione è una sensazione che non pensavo di poter provare, è una cosa che fa anche paura, come una doccia di dolore».
Musicalmente che brano è?
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«Una ballata rock che è stata lavorata con attenzione, precisione, con spunti blues che sono in grado di traghettare il mio rock in maniera molto feroce e veloce su un piano differente rispetto alle mie ballate precedenti; un po’ come Harlem Shuffle dei Rolling Stones ma meno paracula».
Con i figli che padre è?
«Li lascio fare, lascio loro la libertà entro certi crismi di rispetto per sé e gli altri. Sanno che io per loro ci sarò sempre, glielo ripeto in continuazione. Se sbagliano glielo faccio notare, ma non facendo leva sul senso di colpa cattolico con cui è cresciuta la mia generazione, ma piuttosto sottolineando che se tu ti comporti in un certo modo le persone che ti stanno intorno avranno lo stesso tipo di reazioni. Penso che abbia funzionato. Mia figlia ha 17 anni, vive con me, non beve, non fuma e va benissimo a scuola. I tre più piccoli abitano a un chilometro da me. Per loro non sono bravo come papà, ma come angelo custode».
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Il successo enorme poco più che ventenne l’ha travolta?
«Mi facevo raccontare le cazzate da chi era nell’ambiente; all’epoca io non avevo né la struttura né le spalle larghe per contrastarli e sono stato fagocitato da questi personaggi. Non ho iniziato a scrivere canzoni per piacere alle ragazze, perché già piacevo, non ne avevo bisogno. Scrivevo canzoni per vedere se gli altri la pensavano come me, per sentirmi più vicino agli altri: un tempo mi sentivo l’emarginato, adesso mi sento di far parte di un gruppo, e va bene così».
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L’alcol, la droga: non ha mai avuto paura a raccontarsi.
«Non ho bisogno di nascondere niente. Ho parlato del tentato stupro nei miei confronti quando ero ragazzino, ho raccontato degli attacchi di panico, ha parlato di tutto quello che ritenevo necessario senza mai schierarmi, né con me stesso né con gli altri. So che nessuno può avere il plauso del 100 per cento delle persone. A me che pensavo di essere un uomo di mondo, un viveur, la vita ha dimostrato che è andata diversamente. Eccomi qua con 4 figli. È una fortuna, ma sono anche spaventato».
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