Lorenzo De Cicco per “la Repubbilca”
BEPPE GRILLO - GIUSEPPE CONTE - MARIO DRAGHI - BY EDOARDO BARALDI
«Siamo a un bivio», dice in queste ore Beppe Grillo. «Il momento è difficile, ci ho parlato anch' io con i parlamentari...».
Come a dire: è complicatissimo, ormai, tenerli a bada. Il garante del Movimento ieri mattina ha fatto un giro di telefonate, per sondare gli umori degli eletti in vista del voto di giovedì al Senato. Zero battute. Tono grave.
Niente guizzi da ex comico. La fiducia a Draghi è in bilico, e Grillo non vorrebbe. La smania di strappo si fa sempre più forte, soprattutto fra i senatori.
E Giuseppe Conte non ha ancora deciso. Si aspettava una telefonata di Mario Draghi già ieri, il leader dei 5 Stelle. Non c'è stata. «Nemmeno un messaggio», raccontano nel suo staff. «Il tempo sta per finire », ammette l'ex premier con i suoi, col tono di chi avrebbe voluto averne di più, di tempo, almeno con l'orizzonte di fine luglio, ma la tabella di marcia di Palazzo Madama lo ha stretto in un budello. Forse la volta buona per il contatto con Draghi sarà oggi, dopo il vertice tra il governo e i sindacati per discutere dei salari e del piano del ministro Andrea Orlando, che ieri metteva a verbale: «Se il M5S non vota la fiducia è un problema».
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Anche un segnale sui salari - tema rilanciato ieri sul blog da Grillo - potrebbe non bastare.
«Vogliamo il salario minimo, non un segnale minimo», racconta un big. Lo stesso Conte, nel quartier generale di Campo Marzio, dove si è fatto rivedere ieri sera, ha messo in fila alcune considerazioni che sembrano avvicinarlo davvero allo strappo, come mai prima: «Non basta una riforma dei salari. Noi chiediamo il salario minimo a 9 euro, come prevede il disegno di legge che abbiamo presentato in Parlamento. Non possiamo accontentarci di un salario annacquato». Non pare incline a compromessi. E a 48 ore dal gong del Senato, è un problema, per la maggioranza.
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Nell'inner circle contiano assicurano che l'ex premier si mantiene ancora cauto. Possibilista.
Non vuole passare per irresponsabile. Ha preso un impegno col presidente Mattarella. Lesina le parole. Ma sembra muoversi ormai su un piano inclinato. Anche le scarne dichiarazioni rilasciate ieri sera prima di riunirsi con i vicepresidenti lasciavano intuire che il passaggio di Palazzo Madama potrebbe davvero portare alla crisi. I cronisti gli hanno chiesto che impatto avrà sulla tenuta del governo l'astensione del M5S sul decreto Aiuti alla Camera (dove però i grillini giovedì avevano votato la fiducia): «Era una decisione già chiara perché c'è una questione di merito per noi importante, lo avevamo già anticipato - la risposta di Conte - C'è una questione di coerenza e linearità ». Occhio alla chiosa: «Coerenza e linearità».
GIUSEPPE CONTE BEPPE GRILLO
Secondo l'interpretazione fornita da chi ieri era a Campo Marzio, lascerebbe intendere che al Senato la pattuglia dei parlamentari 5 Stelle potrebbe fare il bis. Lasciare l'Aula per non votare. Con la differenza, sostanziale, che a Palazzo Madama il voto è unico, con fiducia incorporata. Conte aspetta. Ma il tempo, suo malgrado, «è agli sgoccioli». Domani sera riunirà i senatori.
Un'assemblea pirotecnica, stando ai pronostici. L'ala più barricadera, largamente maggioritaria, tenterà il blitz. Chiederà la rottura. L'ex premier ha bisogno di un segnale da Palazzo Chigi, «un segnale vero, forte», per convincere gli eletti a votare sì alla fiducia, evitando l'Aventino. Ma almeno 10 senatori sono tentati di sfilarsi comunque. Basta leggere le chat interne, dove c'è chi scrive: «Io la fiducia a Draghi non gliela voto nemmeno se vengono a prendermi a casa...».
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