Letizia Tortello per “La Stampa”
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«Buon pomeriggio signore e signori. È un piacere rivedervi nel nostro teatro. Vi auguriamo un ottimo spettacolo e vi avvertiamo che, nel caso dovessero suonare le sirene, tutti gli spettatori dovranno scendere nel bunker sotterraneo. Slava Ukraini!».
La platea dei bambini, al teatro comunale d'Opera e Balletto di Kiev, è così eccitata perché sta per arrivare Pinocchio che il grido si fa più forte: «Slava Ukraini!», gloria all'Ucraina!, ripete il pubblico con una sola voce. Nella capitale i teatri riaprono e fanno il tutto esaurito. La guerra è lontana, a Est, nel martoriato Sud.
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Ma il boato assordante delle bombe rimbalza sui palchi dello spettacolo che sgomita per riprendersi la scena. Nessuno si stupisce dell'annuncio: i missili potrebbero arrivare da un momento all'altro, come due domeniche fa. Ma la gente di Kiev non ci pensa.
Si è vestita elegante per il primo spettacolo dopo tre mesi di chiusura dall'invasione del 24 febbraio e preferisce rimuovere le preoccupazioni. «Ci siamo abituati alla paura», dice Igor, un giovane papà che ha portato la figlia Yulia. Anche i bambini si sono abituati.
cittadini in strada a kiev dopo il lancio del missile
Ieri, per Kiev, era un giorno di festa. I sorrisi di sollievo, i selfie della rinascita e gli abbracci, la coda fuori dal botteghino. Davanti all'Opera nazionale, il più importante teatro del Paese, poco prima delle due del pomeriggio sfilavano coppie elegantissime, donne col cappello e il vestito da sera, giovani e anziani distinti, sotto un sole rassicurante.
Perché si torna a respirare cultura. Ricompaiono anche i turisti, spariti dall'inizio del conflitto.
fumo di esplosioni a kiev
«Dobbiamo vivere, questa è anche una battaglia della speranza che vinceremo», spiega Tamara Gorinuk, prima che cominci la rappresentazione: "Zaporozhian oltre il Danubio", un'opera lirica di cosacchi di fine '800, del compositore ucraino Semen Gulak-Artemovskij.
C'è chi non si rivede da mesi, quasi ogni spettatore immortala l'ingresso gremito col cellulare. I biglietti costano 400 grivnie, 13 euro. L'attrazione principale dell'attesa sono i bagarini dei francobolli dell'isola dei Serpenti, uno dei tanti simboli con cui gli ucraini hanno esorcizzato la guerra, rivendicando la propria gloriosa resistenza.
guerra in ucraina
«Abbiamo ricominciato il 21 maggio - spiegano all'Opera nazionale - ma non possiamo ancora vendere più di 300 biglietti, perché questa è la capienza massima del rifugio in caso di bombardamenti». In platea non c'è un posto libero, i palchi devono restare vuoti. Così impone la guerra. Che si impossessa di tutto, anche di artisti e cartelloni.
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Lo spiega bene Petro Kachanov, direttore del teatro comunale, che all'eccitazione per rivedere le persone in sala aggiunge rabbia e stanchezza per uno dei momenti più difficili della sua vita: «Abbiamo riaperto sabato - dice -. Avremmo dovuto mettere in scena Romeo e Giulietta, ma ci manca Giulietta, perché è dovuta scappare con la famiglia».
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Tre dei suoi orchestrali sono al fronte in Donbass, più altri tre uomini tra assistenti di sala e coristi. Mancano all'appello anche molti ballerini. E poi c'è lui, Andrii Goniukov, cantante lirico, celebre basso, che la Scala ha ingaggiato per la parte di Varlaam nel Boris Godunov che aprirà la stagione, il prossimo 10 dicembre, regia di Riccardo Chailly.
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Ma l'invito di Milano all'artista ucraino per l'opera del russo Musorgskij fa infuriare Kiev: «La guerra alla Russia non è solo militare, si combatte su tanti fronti - dice Kachanov indignato -. Ci sono le sanzioni economiche, mi stupisco di come il più importante teatro lirico italiano non si schieri dalla nostra parte con un embargo culturale. Pensino ai nostri morti».
Goniukov potrà senz'altro andare in scena a Milano, ma l'Opera e Balletto di Kiev l'ha avvertito che con loro non lavorerà più. «E lui ha rifiutato».
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Si spengono le luci. I bimbi sospendono il respiro in un silenzio magico: sul palco arriva Mangiafuoco, con le sue canaglie che scendono dalla platea, invadendola di rumore. «Non potete capire cosa significhi per mia figlia essere qui», spiega Victoria, mamma di Jasmine.
«Lei non sa tante cose, ma ha vissuto mesi di terrore che l'hanno segnata - aggiunge -. Non avevamo un bunker dove andare, quelli delle scuole erano pieni. Abbiamo dormito nella vasca da bagno, come consigliava la tv. Poi abbiamo deciso che era inutile. Ogni sera diciamo una preghiera e ci addormentiamo pensando che se Dio esiste, allora non possono vincere i russi».
Abitano al tredicesimo piano di un quartiere colpito dai missili di Mosca. Che almeno per ora sono lontani. Mentre Jasmine, col vestito arcobaleno scelto apposta per il ritorno a teatro, a tre anni nemmeno sa pronunciare la parola guerra, ma l'ha vista con i suoi occhi.