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Guido Santevecchi per il Corriere della Sera
Un' intera rete di agenti operativi e informatori della Cia in Cina tradita e smantellata, una dozzina di loro finita davanti al plotone d' esecuzione. Tra il 2010 e il 2012 lo spionaggio americano ha subito un colpo dietro l' altro, sistematicamente, a Pechino e da allora ha disperatamente cercato di scoprire la falla nell' organizzazione.
Secondo la ricostruzione dell' inchiesta una delle fonti cinesi degli americani, annidata in un ministero cinese, sarebbe stata addirittura fucilata in pubblico nel cortile di un palazzo di uffici a Pechino, come monito ad altri possibili infiltrati del nemico.
SPIA PECHINO USA
Dopo anni di caccia l' Fbi è convinta di aver arrestato la talpa: un ex uomo di Langley (il quartier generale dell' Agenzia vicino a Washington) che avrebbe venduto i colleghi sul campo dando i loro nomi al controspionaggio di Pechino. Il caso è stato rivelato sul New York Times , che ha potuto pubblicare anche il rapporto dell' agente speciale del Federal Bureau con una sintesi delle accuse. Il dossier è classificato «under seal».
Il sospetto è Jerry Chun Shing Lee, 53 anni, cinese naturalizzato americano che dopo aver servito nell' esercito Usa era stato ingaggiato dalla Cia e aveva lavorato come agente operativo tra il 1994 e il 2007. Si era dimesso nel 2007 perché la sua carriera era finita in un binario morto. E forse voleva vendicarsi.
Quando le spie americane della rete cinese cominciarono a scomparire una alla volta, nel 2010, Jerry viveva a Hong Kong dove lavorava per una famosa casa d' aste. La Cia cominciò un' inchiesta interna, sospettò subito del suo ex uomo, lo convinse nel 2013 a tornare negli Stati Uniti offrendogli di riprendere il servizio con un nuovo contratto; fu interrogato cinque volte; furono scoperti nei suoi bagagli un paio di agendine con nomi in codice, vere identità e numeri di telefono segreti di tutti gli agenti arrestati e indirizzi delle coperture in Cina.
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Sembrava una prova schiacciante, perché non lo arrestarono? Gira la voce che alti funzionari della Cia ebbero paura di ammettere l' esistenza del traditore nei loro ranghi, per non causare imbarazzo e demoralizzare il personale. A Langley fu scelta la versione secondo cui i cinesi avevano fatto tutto da soli, con hackeraggio delle comunicazioni.
L' Fbi non mollò la pista e ora ha messo le mani su Jerry, che pochi giorni fa è stato fermato all' aeroporto di New York appena sbarcato da Hong Kong: forse ormai si sentiva sicuro.
Jerry Chun Shing Lee, noto anche come Zhen Cheng Li, negli anni da spia sul campo aveva guadagnato il «nullaosta Top Secret», firmando impegni a non rivelare mai particolari sulla sua attività, si legge nel dossier dell' Fbi: un' aggravante dell' alto tradimento, che potrebbe farlo finire sulla sedia elettrica. Le rivelazioni aprono un vespaio, perché nel 2015 la Cia ha dovuto di nuovo richiamare tutti i suoi uomini da Pechino, scoperti dal controspionaggio cinese, forse ancora aiutato. Non c' è prova che li avesse venduti ancora il traditore identificato ora, ma il sospetto è legittimo perché un uomo che aveva passato 13 anni nell' intelligence doveva avere molti contatti ancora attivi.
Quando la storia dell' esecuzione della dozzina di spie saltò fuori per la prima volta, a maggio 2017 sempre sul NYT , a Pechino risposero che «i giornalisti yankee leggono troppi romanzi» e bollarono come «assolutamente ridicolo» il particolare della fucilazione nel cortile di un palazzo di uffici. Ma al tempo stesso i cinesi osservarono che «se il resto della ricostruzione fosse vera, sarebbe stato un grande e legittimo successo del nostro controspionaggio». Un esperto di intelligence ricorda al Corriere che tra il 2010 e il 2012 anche l' intelligence cinese era scossa da purghe interne ai vertici e quindi, se mantenne la capacità di colpire gli avversari americani, il controspionaggio di Pechino dev' essere davvero solido. A Langley c' è una grande lapide in ricordo degli agenti caduti in servizio: più di cento stelle, tutte senza nome.
FBI