donatella raffai chi l'ha visto
Michela Tamburrino per "la Stampa"
Angelo Guglielmi la ricorda bene Donatella Raffai. E non è un ricordo che parte dal successo improvviso e stupefacente di un programma che lei condusse con grazia e pugno fermo come «Chi l'ha visto?».
Le loro strade si incontrarono prima che lui diventasse il mitico direttore della terza rete. Guglielmi, quando conobbe la Raffai?
«La sua nascita professionale avvenne nella sede Rai del Lazio della quale ero responsabile. Mi parve una brava e bella signora, era moglie di un impresario di night club e lavorava sodo».
Poi come proseguì la vostra conoscenza?
«Io diventai direttore di Rai3. Nel ricordo, la chiamai a lavorare da me alla rete e per saggiare le sue capacità le affidai una piccola serie di inchieste sugli ospedali romani. Mi piacque e pensai fosse in grado di assumere impegni più importanti».
donatella raffai i dolci inganni
Poi arrivò Telefono Giallo di Corrado Augias con Raffai?
«Telefono giallo nasce nella mia prima settimana da direttore. Siamo nell'ottobre 1987, Telefono giallo e Linea rovente con Giuliano Ferrara erano i miei primi due programmi. Poi, visto che quel genere di ricerca di persone scomparse appena sperimentato con Telefono giallo aveva molto colpito il pubblico, pensammo di creare un programma tutto dedicato».
donatella raffai
Ci voleva il conduttore.
«Augias non lo volevamo distogliere dalla sua trasmissione e mi venne naturale pensare a Raffai che avevo già sperimentato e che era in grado di condurre. Al suo fianco c'era Paolo Guzzanti. Lei si dimostrò subito molto brava e la sua efficacia innervosì i competitor delle altre reti Rai. Soprattutto quando, visto il successo, decidemmo di doppiare le puntate settimanali».
Guzzanti poi andò via.
«Sì, alla fine dell'anno mi disse che aveva dato il suo contributo ma voleva fare altro. Lei continuò a incarnare la trasmissione, fin dalla prima puntata quel mix di compassione e durezza, le famose unghie insanguinate che grondavano umanità, si disse, avevano conquistato il telespettatore».
Quando capì che quel programma sarebbe stato un successo che sopravvive ancora oggi con Federica Sciarelli?
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«Dal primo caso affrontato. Si trattava della scomparsa di una giovane marines del contingente americano di stanza a Napoli. Gli investigatori americani avevano supposto che un collega marines l'avesse uccisa ed erano pronti a processarlo. Rischiava la vita. Dopo la puntata la supposta donna scomparsa chiamò il Tg3 dicendo che 3 mesi prima si era innamorata e aveva seguito l'uomo senza pensarci due volte, ignara di tutto quello che era accaduto. Significava la forza della rubrica che appunto partì a livelli altissimi. Una grande conduttrice».
Poi anche Raffai avrebbe voluto provarsi in altri programmi ma ebbe poche possibilità di farlo. Quando Chi l'ha visto? iniziò a perdere ascolti, voi la richiamaste a condurlo.
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«Certo che la richiamammo, era perfetta in quel ruolo. Ma dopo 12 anni ci aveva detto che era stanca, che avrebbe voluto occuparsi di politica, voleva qualcosa che la gratificasse». Non era possibile accontentarla?
«Avevamo Michele Santoro che copriva esattamente quel segmento e non potevamo prevedere doppioni. Allora fu lei a capire che non aveva più nulla da darci che noi non sapessimo già, era renitente e si ritirò».
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Più che ritirarsi fece come le persone di cui si occupava a Chi l'ha visto?. Cambiò i numeri di telefono e sparì. Si ritirò in Francia con il suo compagno, un regista Rai in pensione. Lei che ne ha pensato?
«Apprezzai la sua signorilità. Andare via così, senza parlare, recriminare, lamentare. Aveva una sua poesia. Lei lontano per non interrompere la magia che aveva creato».
Dunque non l'ha più sentita?
«Una volta la chiamai, qualche anno fa. Ero riuscito non so come a trovare il suo recapito. Facevano un evento che riguardava la rete e la mia direzione. Pensai che sarebbe stato giusto chiamarla. Ci parlammo affettuosamente, mi disse che non era tanto intenzionata a tornare in Italia ma che mi avrebbe dato una risposta precisa dopo qualche giorno. Non l'ho mai più sentita».
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