Paolo Griseri per "la Stampa"
GUGLIELMO EPIFANI
Aveva sorpreso soprattutto chi non lo conosceva bene. Il 6 marzo 2006, chiudendo il congresso della Cgil, Guglielmo Epifani era chiamato a rispondere all' offerta di alleanza di Romano Prodi.
In quei giorni il Professore era andato a Rimini a chiedere il voto del maggiore sindacato italiano: «Il vostro programma è il mio programma». Baci, abbracci, strette di mano.
Facile il parallelo con Parma, cinque anni prima: la ola dell' assemblea di Confindustria per Silvio Berlusconi candidato alla presidenza del Consiglio. Rimini sarebbe stata la Parma della sinistra? Si sarebbe ripetuto, aggiornato nelle sigle, il classico scenario all' italiana con i sindacati alleati dei partiti del centrosinistra e gli imprenditori come base elettorale del centrodestra? Dal palco Epifani aveva scandito uno scenario diverso: «Il programma di Prodi è di Prodi, quello della Cgil è della Cgil. Bisogna mantenere un profilo alto della nostra autonomia».
L' autonomia del sindacato rispetto ai partiti può sembrare oggi poco più di una banalità. L' oggetto di un dibattito novecentesco ormai superato dalla semplice constatazione che i partiti si sono frantumati ben prima delle organizzazioni sindacali. Ma quella rivendicazione di autonomia anche nei confronti dell' unico esponente del centrosinistra in grado di sconfiggere Silvio Berlusconi, era un segnale importante di come stavano cambiando i rapporti tra mondo del lavoro e politica in Italia.
GUGLIELMO EPIFANI
Epifani, segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010, è stato il traghettatore del maggiore sindacato italiano dall' età delle correnti a quella che gli piaceva chiamare «dell' indipendenza». Non era stato facile. I rapporti tra comunisti e socialisti nel sindacato erano diventati complicati dall' 84, quando l' unità della sinistra si era rotta sul referendum che proponeva di ridurre la scala mobile.
Prima di una serie di rotture tra sinistra politica e sindacale che sarebbe culminata nello scontro con il Pd di Renzi sull' articolo 18 e il jobs act. Rapporti difficili tra le due correnti principali e non facili all' interno di quella socialista. Epifani faceva parte di quel gruppo di sindacalisti che rappresentavano l' area Psi ai vertici dell' organizzazione: Ottaviano Del Turco, Fausto Vigevani, Susanna Camusso, Giuliano Cazzola. Non sempre andavano d' amore e d' accordo.
GUGLIELMO EPIFANI
Cazzola annota, nella sua biografia di Epifani, che il futuro segretario generale della Cgil «era soprannominato il giovane Werther». Non solo, evidentemente, per la sua prestanza fisica ma anche per la tendenza a cogliere la complessità dei problemi, evitando di tagliare in due con un colpo di spada i nodi complessi del mondo del lavoro. Così, come il giovane protagonista di Goethe, anche Epifani era tormentato dai dolori. Ma è una caricatura: Del Turco aveva scelto proprio Epifani come suo successore, scartando l' ipotesi di Cazzola. Anche nelle biografie capita di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Non era semplice il mestiere del sindacalista riformista nell' Italia degli anni Settanta e Ottanta. Occuparsi del sindacato dei poligrafici quando la P2 tentava l' assalto al Corriere della Sera. Non era facile inventare il sindacato post Novecentesco: «Ricordo una sua intervista del 2004 contro i rischi del Diciannovismo», raccontava ieri sera Susanna Camusso. Nel 2004 la politica della pancia, il grillismo da talk show, il vaffa eletto a metodo politico erano agli albori. Toccò a Epifani segnalare tra i primi che quella tendenza, sinistramente simile alle pulsioni prefasciste del 1919, poteva diventare un pericolo per la sinistra e per lo stesso sindacato. Non tutti, in quell' area se ne sarebbero accorti se ancora oggi c' è chi immagina un' alleanza organica tra la sinistra e i grillini.
guglielmo epifani
Sindacalista riformista, per questo considerato un moderato nella Cgil, aveva saputo sorprendere nel 2003 quando aveva appoggiato da segretario generale il referendum di Rifondazione che proponeva di estendere l' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che vietava i licenziamenti senza giusta causa) anche alle aziende con meno di 15 dipendenti.
Una mossa che aveva schierato il maggiore sindacato italiano molto a sinistra, anche al di là delle posizioni di Sergio Cofferati che pure contro l' abolizione dell' articolo 18 voluta da Berlusconi aveva saputo radunare una folla immensa al Circo Massimo.
La difesa dei diritti dei lavoratori è rimasta la cifra del suo impegno anche quando, lasciato il vertice della Cgil a Susanna Camusso, Epifani è entrato nel Pd. Anche qui fase travagliata.
La segreteria di Bersani, in difficoltà per il fallimento delle trattative con i 5Stelle e per la fronda interna al partito nell' elezione del Presidente della Repubblica, cede il passo. Epifani deve provare a rimettere insieme i cocci del partito. Sapendo che la sua è una segreteria di transizione perché scalpita Matteo Renzi, suo successore, in autunno, alla segreteria del Pd. Compito non facile che il riformista educato, l' intellettuale dai modi gentili, è riuscito a svolgere con abilità.
guglielmo epifani
«È stato il primo segretario di una Cgil costretta a vivere in totale indipendenza dalla politica mantenendo la sua autorevolezza proprio grazie a quell' autonomia», racconta chi gli ha lavorato fianco a fianco per molti anni.
Ma anche il riformismo gentile ha il suo limite, quello dei principi che, a ragione o a torto, ciascuno ritiene indispensabile mantenere nel corso della sua vita, una coerenza che in qualche modo, è elemento stesso dell' identità. Così quando la svolta renziana ha finito per cambiare radicalmente l' impostazione del partito in materia di lavoro, Guglielmo Epifani ha sentito che era venuto per lui il momento di cambiare strada: «Dopo l' involuzione del Partito Democratico con le sue politiche in tema di lavoro, scuola, riforma elettorale e Costituzionale, ho deciso con tanti altri di lasciare il Pd e di dare vita ad Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista e poi alla lista Liberi e Uguali con Pietro Grasso».
Un altro addio. Nel 2017 non era facile per chi aveva speso tutte la sua vita di sindacalista a difendere i diritti del lavoro conquistati nel Novecento, accettare la nuova linea renziana del partito. Con Epifani era uscita tutta l' ala sinistra. In parlamento Guglielmo Epifani ha continuato a difendere le cause del lavoro, a seguire le centinaia di vertenze aperte nella Penisola, dove decine di migliaia di dipendenti rischiano di perdere il posto.
guglielmo epifani
L' ultima sua presenza pubblica, prima che la malattia lo costringesse in ospedale, è stata la manifestazione dei dipendenti della Whirlpool a rischio di licenziamento.
C' è un filo che attraversa tutta questa lunga vicenda umana. È quello del socialismo riformista. Quello che aveva suggerito al giovane Epifani di preparare la tesi di laurea su Anna Kulishoff, rivoluzionaria, compagna di Andrea Costa e Filippo Turati. Un sindacalista intellettuale, come alcuni altri, che più di altri ha saputo far convivere la passione per la cultura con quella per la difesa dei diritti civili e con le battaglie sociali di modernizzazione del Paese.
Quale fu la lezione del sindacalista Epifani? «La sua è la parabola di un riformista che amava la laicità del sindacato», dice Camusso. Un sindacato privo di vincoli politici proprio perché i partiti avevano ceduto il campo. Ma anche un sindacalista che ha sempre contrastato la tendenza dei nuovi movimenti politici a saltare la mediazione sindacale, a farsi direttamente popolo superando ogni idea di contrattazione. Un difetto con cui Cgil, Cisl e Uil hanno dovuto fare i conti sia fronteggiando i 5 Stelle sia avendo a che fare con il Pd di Renzi.
walter veltroni massimo d'alema sergio cofferati nazionale politici 2002 foto augusto casasoli:contrasto
L' idea di un sindacato che contratta a nome di tutti, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, è stata una delle lezioni che Epifani ha imparato e ha saputo interpretare. Esito che sarebbe stato del tutto imprevisto quando, nella realtà rigida del Novecento, qualcuno avesse mai predetto che un socialista avrebbe potuto diventare segretario generale della Cgil.
SERGIO COFFERATI
Riccardo Barenghi per "la Stampa"
«Il nostro è stato prima di tutto un rapporto di amicizia e di affetto. A me mancherà un amico e alla sinistra mancherà una persona che poteva aiutarla a rilanciarsi e alla quale oggi direbbe: fermate i licenziamenti». Così Sergio Cofferati comincia il suo ricordo di Guglielmo Epifani.
epifani
Cofferati ha guidato la Cgil per otto anni, dal 1994 al 2002, e al suo fianco ha sempre avuto Epifani come vice segretario generale. Insieme hanno contrastato il primo governo Berlusconi (1994) e il secondo, dal 2001 al 2002 quando Cofferati lasciò il timone del sindacato a Epifani. E tra i due Berlusconi si trovarono nella difficile posizione di dover trattare, mediare e anche confliggere con i governi di centrosinistra, guidati da Prodi, D' Alema e Amato.
Lei e Epifani avevate due storie politiche e culturali diverse, lui era socialista e lei comunista, anche se all' epoca della vostra Cgil i due partiti non esistevano più. Quanto hanno pesato queste differenze?
«Magari non ci crede nessuno, però non hanno pesato per niente. Avevamo un lungo percorso sindacale comune, lui segretario del poligrafici e io dei chimici, categorie che convergevano sulla linea politica.
sergio cofferati
Quella riformista, diversa da altre che erano più radicali, a cominciare da quella dei metalmeccanici. Riformisti ma con al centro un' idea-forza: il sindacato autonomo dalla politica organizzata e strenuo difensore dei diritti collettivi e individuali».
Un esempio di autonomia dalla politica?
«Proprio quando si trattò di eleggere il successore di Bruno Trentin, Epifani si schierò con me. Rompendo lo schema delle appartenenze: una parte dell' area degli ex comunisti voleva Alfiero Grandi come leader della Cgil, invece fui eletto io anche grazie a Guglielmo. Che sapeva dirigere cercando sempre l' unità e creando un clima molto rilassato».
Ci racconti un episodio di questo clima...
«Quando eravamo nella segreteria di Trentin e Ottaviano Del Turco, io, lui e Angelo Airoldi eravamo considerati i giovani, e spesso dopo le riunioni mettevamo in mezzo Angelo, accusandolo di essere un estremista metalmeccanici. Non era vero ma ci divertivamo».
guglielmo epifani
Il primo battesimo del fuoco della vostra leadership fu nel '94 contro la riforma delle pensioni di Lamberto Dini, che era il ministro del Tesoro di Berlusconi.
«Esatto, portammo in piazza centinaia di migliaia di pensionati e non solo. Diciamo che noi scuotemmo l' albero su cui era seduto Berlusconi, e poche settimane dopo Umberto Bossi lo fece cadere».
Poi arrivò il governo dell' Ulivo, con Romano Prodi premier: correste il rischio di collateralismo col governo amico?
«Non ci fu alcun collateralismo, noi tenemmo ferma la nostra linea che rivendicava il metodo della concertazione inaugurato anni prima con i governi di Amato e di Ciampi. Diciamo però che nel mondo del centrosinistra c' era qualcuno che voleva fare a meno di quel sistema di relazioni col sindacato».
Lei non lo nomina, ma non è difficile pensare che si riferisca a Massimo D' Alema, col quale vi siete scontrati anche duramente
«Lui ci accusava di essere vecchi e di pensare solo al "maschio adulto e garantito" che aveva il suo contratto in tasca. Noi invece difendevamo il contratto nazionale, pensavamo fosse quella la base per allargare le protezioni anche per chi non le aveva. Mentre D' Alema sosteneva che quel contratto non aveva più il valore di prima. Anche in quell' occasione, Epifani è stato solidale con me».
EPIFANI
E così arriviamo al secondo governo Berlusconi e a quella oceanica manifestazione al Circo Massimo, tre milioni di persone. Epifani era d' accordo?
«Se non ricordo male fu lui ad annunciarla in segreteria che la approvò all' unanimità. Il governo voleva abolire l' articolo 18, che proteggeva i lavoratori dai licenziamenti senza giusta causa.
Noi ci opponemmo. E quando dico noi, parlo di tutta la Cgil e ovviamente di Guglielmo che fu in prima linea. Aggiungo che pochi giorni prima le Brigate Rosse avevano ucciso Marco Biagi: noi decidemmo di confermare la manifestazione, nonostante molte pressioni esterne per rinviarla, mettendo al primo posto la lotta al terrorismo».
Poi lei lasciò la Cgil e il leader divenne Epifani: ha visto cambiamenti nella linea politica?
«Sinceramente no, direi che ha tenuto la barra dritta. Sempre con in testa la nostra idea che prima di tutto vengono i diritti delle persone».
Anni dopo Epifani, ormai non più leader della Cgil, diventò segretario del Pd in un momento di passaggio da Bersani a Renzi: fu un buon segretario secondo lei?
aurelio regina guglielmo epifani
«La sua leadership durò pochi mesi, mesi difficili perché il Pd era in preda a scossoni violenti. Ed è stato proprio grazie alle sue doti di equilibrio e alla sua capacità di mediazione (doti che aveva imparato nel sindacato) che riuscì a evitare che il partito implodesse».
E di Renzi cosa pensava?
«Posso solo dire che non era d' accordo con il jobs act».
Negli ultimi anni Epifani decise di andare via dal Pd per partecipare alla nascita di Articolo uno con Bersani, D' Alema, SperanzaPensa che abbia fatto una scelta giusta?
«Ha dimostrato una grande coerenza politica: un socialista riformista che si colloca alla sinistra del Pd. Nel nostro panorama politico, non sono in molti ad aver fatto un percorso così lineare».
SPERANZA EPIFANI guglielmo epifani