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Felice Cavallaro per il Corriere della Sera
Sempre in lotta con il vento per il suo ciuffo scapigliato, 60 anni celati da un fisico asciutto, le giacchette strette, funzionario delle Poste nella prima vita, Luigi Patronaggio, il magistrato volato a Roma per indagare al Viminale fra gli uffici del ministro Salvini, ad Agrigento lo scrutano in tanti con timorosa diffidenza come il procuratore che non guarda in faccia nessuno.
E se ne sono accorti in tanti negli ultimi tempi per l' attenzione che la sua procura accende su appalti e pubblica amministrazione.L' ultimo ciclone giudiziario su un calderone di sospette raccomandazioni legate al pianeta di Girgenti Acque ha travolto perfino la carriera del prefetto Nicola Diomede, costretto a lasciare l' incarico. È la storia di un presunto giro di relazioni fra i potenti indicati da Patronaggio, compreso il padre del ministro Alfano. Così, il temuto procuratore è la seconda volta che in poco tempo si confronta in qualche modo con inquilini del Viminale.
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Ai tempi di Falcone e Borsellino, che fece in tempo a conoscere definendoli «amici dell' ultima ora», indagò, subito dopo le stragi, anche su Rino Nicolosi, il presidente della Regione poi morto di cancro.
Di potenti ne ha incrociati tanti. Da Dell' Utri a Mori. Chiedendo da sostituto procuratore generale di Palermo la condanna per il co-fondatore di Forza Italia quando poi scappò in Libano per una incomprensione con il tribunale della libertà che non dispose l' arresto. Ed inquisendo il generale assolto per la mancata perquisizione della villa covo di Riina, (seppure recentemente condannato per la «trattativa Stato mafia»).
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Grandi processi nei quali Patronaggio ha continuato a mantenere un certo distacco professionale, senza mai lasciarsi tentare da avventure come quelle che hanno portato suoi colleghi in salti acrobatici verso la politica. Padre di tre figli, a 38 anni, nel 1996 dopo avere indagato sugli assassini di Padre Puglisi, minacciato dalla mafia, decise di lasciare la procura di Palermo. Qualcuno insinuò una polemica contro l' allora procuratore Giancarlo Caselli. Equivoco soffocato immediatamente dallo stesso Patronaggio che definì il procuratore arrivato da Torino come il migliore in assoluto.
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Ad Agrigento era già arrivato negli anni Novanta come capo dell' ufficio dei gip. Occupandosi di tanti processi di mafia. Il resto della carriera fra Mistretta, Trapani, Palermo.
Infine il ritorno nella città dei Templi accompagnato per l' insediamento dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, pronto a tesserne le lodi. E lui a ringraziare ribadendo la sua idea di giustizia.
Così come ha fatto all' ultima inaugurazione dell' anno giudiziario quando ha in fondo indicato la strada che sta adesso ripercorrendo con l' ispezione sulla Diciotti e gli interrogatori al Viminale. Spiegando che «in un' area di frontiera come Agrigento, e quindi Lampedusa, bisogna fare i conti con il fenomeno dei migranti tenendo conto che si tratta di persone costrette a lasciare con dolore terra e affetti, a fuggire da guerra e miseria». Una ragione in più «per non considerarli nemici». Posizione gradita a tanti ambienti, a cominciare dal cardinale di Agrigento, Don Franco, presidente della Caritas italiana. Forse un po' meno da chi oggi Patronaggio chiama a verbalizzare sull' ipotesi del sequestro di persona.
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