Estratto dell’articolo di Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
Thomas L. Friedman 2
«Io sono convinto che la ragione principale per cui Hamas ha lanciato adesso questo attacco, ordinando anche che fosse il più omicida possibile, è stata di provocare una reazione eccessiva da parte di Israele, tipo un’invasione della striscia di Gaza, che farebbe migliaia di vittime civili fra i palestinesi.
Questo a sua volta forzerebbe l’Arabia Saudita a uscire dalle trattative per un accordo con Israele, in corso sotto l’egida degli Stati Uniti. Così come forzerebbe i Paesi firmatari degli accordi di Abramo — Emirati Arabi, Bahrein e Marocco — a fare un passo indietro».
Tom Friedman le ha viste tutte in Medio Oriente. L’editorialista principe del New York Times, più volte Premio Pulitzer, se ne occupa da quasi cinquant’anni. Ma gli mancava la «furia barbarica» di Hamas nell’assalto di giovedì scorso, «quando i miliziani radunavano uomini, donne e bambini e gli sparavano guardandoli negli occhi».
BENJAMIN NETANYAHU AL CONFINE CON GAZA
Una cosa simile, racconta al telefono da San Francisco, «l’avevo vista soltanto nel 1982 a Sabra e Shatila, quando le milizie cristiane massacrarono centinaia di rifugiati palestinesi, donne, bambini e anziani in primo luogo: la prima vittima che incontrai era un vecchio con la barba bianca e il foro di una pallottola alla tempia».
Il sentimento prevalente in Israele è che Hamas debba essere distrutta come forza militare e Gaza demilitarizzata. Questo significa soltanto una cosa per l’esercito israeliano: entrarci, impegnarsi in una battaglia sanguinosa, eventualmente occuparla. Ma tu suggerisci che non dovrebbe farlo, proprio perché è l’esito che vuole Hamas.
«Si, è quello che vogliono Hamas e l’Iran, il Paese che li sponsorizza. Regola numero uno per loro è che Israele rimanga nella Cisgiordania e ora possibilmente anche nel Nord di Gaza, in modo che le sue forze siano sottoposte in modo permanente a una eccessiva estensione, portando a una continua tensione tra israeliani e palestinesi. Questo renderà impossibile per i Paesi arabi normalizzare le relazioni con lo Stato ebraico».
BENJAMIN NETANYAHU
Ma c’è un’alternativa a rinunciare a entrare a Gaza?
«Sinceramente non lo so. Dico soltanto che una cosa è entrare a Gaza e smantellare Hamas, obiettivi sicuramente alla portata dell’esercito israeliano sia pure con alti costi in termini di vittime civili. E un’altra è quale sarà la struttura di potere che la sostituisce: c’è una sola cosa peggiore di Hamas che controlla Gaza ed è che nessuno controlli Gaza o che Israele controlli Gaza.
C’è chi propone che a farlo siano i sauditi, gli Emirati, una forza di pace araba. Ma in quale pianeta vivono? Pensiamo veramente che Israele affiderebbe Gaza a una forza saudita o interaraba? Per questo dico agli israeliani, prima di entrarci, mostratemi il piano. Altrimenti state attenti: non entrate a Gaza prima di avere una idea chiara e precisa di come ne uscirete».
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È chiaro, come ha detto l’ex inviato americano in Medio Oriente Dennis Ross, che «Hamas non può essere un partner per la pace». Ma chi può esserlo?
«Ripeto, non lo so. Il controllo di Gaza da parte di Hamas è un problema malvagio.
Non c’è una soluzione ovvia tranne quella di vivere con lo scenario meno cattivo possibile».
Che sarebbe?
«Rendere sicuri i confini, in modo che Hamas non possa più ripetere quello che ha fatto giovedì e soprattutto che non possa più ricevere forniture militari. Ma ci rendiamo conto che sono stati in grado di costruirsi un intero arsenale missilistico, senza che gli apparati di sicurezza di Israele se ne accorgessero?».
In che modo gli Stati Uniti e i Paesi occidentali possono aiutare Israele, oltre a stargli accanto e sostenerla, difendendo il suo diritto a proteggersi?
«Questa è stata la più grave perdita di vite ebraiche in un solo giorno dai tempi dell’Olocausto. E dobbiamo far sì che Israele abbia tutti i mezzi militari necessari per difendersi. Ma dobbiamo anche aiutare Israele a porsi le giuste domande. Per esempio: cosa vuole che io faccia il mio peggior nemico e in che modo posso fare l’opposto? […]».
Thomas L. Friedman
Stai dicendo che anche Netanyahu ha iniziato il suo lungo addio, come accadde a Golda Meir dopo lo Yom Kippur?
«Io spero che, quando questa crisi sarà finita, ci sarà un’elezione e gli israeliani lo manderanno via per sempre, per sempre e per sempre. Se un giorno faranno una commissione d’inchiesta, Netanyahu e Yariv Levin, il ministro della Giustizia, dovranno essere i testimoni uno e due, e fosse per me non ci sarebbe bisogno di nessun altro. Loro hanno ingannato Israele prima dell’attacco». […]
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