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    LA "VEDOVA DI VISCONTI" FA 70 – HELMUT BERGER RACCONTA LA SUA VITA DI ECCESSI, DALLA LONDRA HIPPY ALLE SCIATE CON GLI AGNELLI, PASSANDO PER LE SAUNE GAY – LA VOLTA CHE ANDÒ DA BULGARI PER FARSI FARE UNA CANNUCCIA D’ORO PER PIPPARE COCAINA


     
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    Aline Arlettaz per La Stampa

     

    Ci vuole pazienza per ottenere un appuntamento con «l’eterna vedova di Visconti», come ama essere chiamato. Il luogo, il giorno, l’ora sono stati cambiati non meno di cinque volte. Alla fine, è lì, in un salone dell’Hotel Aubusson, nei pressi della rue Visconti. Elegante come sempre, Helmut Berger, pantaloni di sartoria e maglione di cashmere con uno scialle sulle spalle che ricorda quello che gli portò una sera della primavera del 1964 l’assistente di Luchino Visconti. 

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    «Io non credo al caso, ma agli incontri», dice oggi. Divennero inseparabili fino alla morte del maestro, nel 1976. Nella sua autobiografia (Autobiographie: 70ème anniversaire) appena uscita in Francia, si passa dalla Swinging London alla Dolce Vita, con Moravia, Antonioni, Mastroianni, Virna Lisi, De Sica. Poi c’è la New York Anni 70 con la droga, il sesso decadente nei bagni turchi frequentati da molti gay e gli Anni 80 a Parigi nella discoteca Le Palace.


    Helmut Berger non ci risparmia storie e non si risparmia. Molti suoi amici sono morti di overdose o di Aids: «Ma io sono sempre stato attento. Per i viaggi, Luchino mi aveva fatto fare una specie di cestino da picnic in cui aveva messo una coperta, un piatto e un bicchiere, il tutto con lo stemma della famiglia Visconti». Rievoca insoliti ricordi. A Roma si fece fare da Bulgari una cannuccia d’oro per sniffare la cocaina. A St. Moritz frequentava i fratelli Agnelli e approfittava del loro elicottero per raggiungere la cima delle piste. A Richard Burton, che indossava pantaloni bianchi, e che lo infastidiva, mise tartufi al cioccolato sotto il sedere. Ricorda il sesso di Nureyev scorticato da una cerniera lampo aperta troppo in fretta per soddisfare i loro desideri. O la tenia che Maria Callas si era fatta introdurre per perdere peso. 


    E i bauli di Louis Vuitton offerti da Visconti, che aveva riportato al negozio per farci mettere anche le sue iniziali pensando che «LV» significasse Luchino Visconti. Evoca Marisa Berenson, un grande amore, e l’appendice che si fece togliere per avere da Visconti un Rolex: «Abbiamo fatto errori, ma in fondo niente di troppo brutto».
    A 71 anni, con una filmografia ricca di capolavori, rientra in scena da protagonista. Nulla, nella sua vita, è stato guadagnato senza sforzo: «A parte sciare come la maggior parte degli austriaci, non sapevo fare molto».

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    Ha avuto un rapporto forte con sua madre: «Figlio unico, ho vissuto solo con lei fino al ritorno di mio padre dalla campagna di Russia». Più tardi, a Londra, sta con David Bailey, Twiggy, Cat Stevens: «Ci facevamo le canne e ci abbracciavamo. Eravamo tutti fratelli e sorelle. Erano gli anni della liberazione sessuale, leggeri e spensierati». 

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    E poi l’Italia: «Mi sono iscritto all’Università di Perugia. Un giorno per caso mi sono trovato a Volterra dove Visconti girava con Claudia Cardinale il film Vaghe stelle dell’Orsa. Scendeva la notte, l’assistente di Luchino mi portò un lungo scialle di cachemire grigio. Ne ricordo ancora il profumo, potrei riconoscerlo tra mille». 
    Così si è trasferito a Roma da Visconti? «Sì, ma ognuno aveva la sua camera; era lui che veniva a farmi visita. La mia prima esperienza con Luchino fu il film a episodiLe streghe, poi fui io a dargli l’idea dellaCaduta degli dei. Come? «In Austria avevo incrociato l’industriale Krupp che mi aveva raccontato questa storia. Luchino in sei mesi scrisse la sceneggiatura, in fretta perché aveva paura che lo lasciassi». 

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    Il film fa scandalo, con una famosa scena d’incesto. «Non capivo cosa stessi recitando, mi sono lasciato dirigere completamente da Luchino. È stato il primo a dirmi di avere fiducia in me stesso». E ora, cosa si augura? «Di continuare a godermi il momento, di trovare ancora il piacere di progettare». 


    [traduzione di Carla Reschia]

     

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