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    HIPSTER MUSULMANE = MIPSTERZ - DONNE CHE AMANO IL RAP, I VESTITI COLORATI E BALLARE FINO A TARDI. CON IL VELO IN TESTA (VIDEO)


     
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    1. VIDEO - LE "MIPSTERZ" A NEW YORK

     


    2. ARRIVANO LE MIPSTERZ MODA, MODERNITÀ E L'ORGOGLIO DEL VELO
    Massimo Vincenzi per "il Venerdì la Repubblica"

    Basma ha 19 anni, abita con due amiche a Green Point e come la maggior parte dei suoi coetanei tra il venerdì e il sabato si diverte nei locali lungo Bedford Avenue, la strada più «calda‚ di Williamsburg. Lei va alla New York University, ama la musica rap, i vestiti colorati, adora le riviste di moda e ballare sino a tardi. E fa tutto questo portando il velo, lo hijab della sua religione.

    È una delle protagoniste dell'ultima rivoluzione sociale americana: le chiamano mipsterz, ovvero le hipster musulmane, ma non tutte si riconoscono nella definizione. Lei non accetta etichette: «Quello che mi interessa è essere me stessa, dimostrare che l'abbigliamento previsto dalla mia fede non è affatto sinonimo di repressione, arretratezza o ignoranza. Io mi sento cittadina degli Stati Uniti, ho gli stessi interessi e le stesse passioni dei miei coetanei ma sono anche decisa a rispettare quello in cui credo».

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    La definizione arriva sui giornali dopo la pubblicazione di un video su YouTube, dove un gruppo di giovani modelle si muove lungo le vie di Manhattan al suono di Jay Z, correndo, saltando da una panchina all'altra, facendo skateboard, tutto ovviamente elegantissime, coloratissime e velatissime.

    Lo promuove una piccola agenzia ma l'effetto è virale, perché coglie una trasformazione profonda in corso nella società statunitense. L'ultimo rapporto Gallup è illuminante: i giovani musulmani hanno definitivamente superato gli ostacoli dell'11 settembre quando l'intera nazione li guardava come una minaccia, adesso cercano il loro posto nel lavoro e nella vita pubblica. Vogliono affermarsi e contare.

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    Sono molto motivati, il 43 per cento delle donne ha una laurea, contro il 29 della media nazionale e soprattutto non oscillano più da un estremo all'altro: vivono in questo mondo e lo fanno seguendo i dettami della loro religione. Un ritratto opposto rispetto ai loro fratelli maggiori che dopo aver cercato un'integrazione spesso forzata si sono ritrovati ad odiare l'Occidente che li aveva, secondo loro, traditi.

    «Voglio vivere in un posto che punta all'inclusione» spiega Lamees, blogger e mipsterz: «Siamo ragazze e la prima cosa che ci unisce è la moda, come in tutte le parti del mondo. Poi ci sono la musica, il cinema, ma discutiamo di tutto: dal cibo biologico alla politica, dai libri alle guerre. Sì, anche di terrorismo, non abbiamo tabù».

    All'inizio non è stato facile tenere assieme tutti i pezzi del mosaico, ma ora il quadro è completo e a vederle camminare a gruppi di quattro cinque fa un bell'effetto: «Anche all'università, ambiente colto e aperto, il velo subito viene visto come un limite, il segno che non sei una donna moderna. Ti vedono coperta e pensano: ecco lei la mettiamo in quella casella.

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    Poi per fortuna le cose cambiano e in questo la Rete, i social media come Facebook ci hanno aiutato parecchio». Basma beve la sua Diet Coke, sebbene dal lungo fiume salga un vento forte, ghiacciato. Si stringe il velo al collo e come d'intuito dice: «È come se questo fosse il mio cappotto. Lo indosso perché mi piace, perché va fatto, ma non mi impedisce di andare sui pattini o di far sport. Proprio come un cappotto, una poi sotto indossa quello che vuole». Le sue amiche le fanno fretta: è venerdì, sono le sei, i bar si stanno riempiendo, la musica alza il volume, c'è un tempo per la sociologia e un tempo per divertirsi. Perché loro sono ragazze normali.

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