1- IL PIÙ GRANDE O IL PIÙ CARO? - LA MOSTRA DELLA TATE MODERN GALLERY SCATENA LA POLEMICA
Tomaso Montanari per "il Fatto Quotidiano"
C'è qualcosa di esemplare nella vicenda di Julian Spalding, il critico d'arte a cui è stato negato l'ingresso alla Tate Modern di Londra per aver detto che Damien Hirst non è un artista e aver profetizzato il collasso delle sue quotazioni sul mercato dell'arte. Prima morale: l'artista può fare quello che vuole, il critico non può dire quello che vuole. Perché? Perché il discorso sull'arte è ormai un discorso prevalentemente economico.
E il mercato non può essere turbato: quasi che una dichiarazione fuori dal coro conformista rischi di avere l'effetto che le uscite dell'ultimo Tremonti avevano sulle Borse. E chissà se vedremo un dipartimento di storia dell'arte contemporanea chiuso per turbativa d'asta, o aggiottaggio.
La seconda morale è proprio questa: se una critica radicale al sistema dell'arte contemporanea vuole avere qualche speranza di incidere, non deve parlare di estetica o di ricezione collettiva, ma deve provare a toccare il portafoglio miliardario dei "mercanti d'aura" (questo il titolo dell'utile libro dedicato da Alessandro Dal Lago e Serena Giordano alle "logiche dell'arte contemporanea").
Per secoli si è pensato e scritto che il cammino dell'arte fosse un cammino verso la libertà: Giorgio Vasari scrisse che tutti gli artisti della sua generazione erano grati a Michelangelo per aver rotto "i lacci e le catene" della tradizione. Oggi ci accorgiamo che il paradosso di questo affrancamento è che esso ha liberato l'arte dalla volontà dei committenti per renderla schiava del mercato. Ed è forse proprio questa mancanza di libertà e questa totale sottomissione al denaro a rendere il sistema dell'arte contemporanea una potente metafora del mondo di oggi.
Libro di Hirst La morte di Hirst dello scultore Eugenio MerinoUna metafora sedativa, e dunque amatissima: il singolo evento italiano di arte contemporanea più visitato del 2011 è stato l'esposizione del Teschio di Hirst a Palazzo Vecchio, a Firenze: il pulp di un vero cranio umano reso pop dagli altrettanto veri brillanti che lo tempestavano è stato ammirato da circa 200.000 persone. Ce le immaginiamo in fila, strette strette, per proteggersi dal freddo cadaverico di quell'‘inverno della cultura' di cui l'ex conservatore del Pompidou, Jean Clair, intravede uno dei sintomi proprio nel successo di uno come Damien Hirst. Uno dei più grandi artisti del XXI secolo. O almeno dei più cari. Almeno per ora.
2- D'AGOSTINO: CRITICI ROSICONI PER NECESSITÀ
Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"
Pasqua tramontata, polemiche su Damien Hirst che sorgono dalle ceneri di loro stesse. Sei mesi di monografica alla Tate di Londra, lo stesso posto in cui ritirando il Turner Prize D. H. gareggiò con Forrest Gump: "È incredibile dove si possa arrivare con un 4 in arte, un'immaginazione bacata e una sega elettrica" e dove accolto dal solito benevolo coro della curva "delinquente", "truffatore", "miracolato", ha trovato un altro amico in Julian Spalding dell'Independent, ex direttore di gallerie tra Manchester e Glasgow.
damien hirst asta sotheby rep06Damien HirstUno che dopo aver definito "drogate e demenziali" le sue quotazioni ha consigliato chi ne possiede l'opera a disfarsene. "Oggi Hirst è tra i più pagati". Domani, giura Spalding "varrà meno di zero". Roberto D'Agostino ospita Hirst in casa propria, dalle scale all'ultimo piano. Sa di cosa parla.
Stupito D'Agostino?
Tutto arriva al momento giusto, il tempo trova (sempre) la lapide migliore: "arte-rioslerosi". È primavera, tempo di rosiconi senili. E l'hanno sbiellato.
Può spiegarsi?
È una rivoluzione che muta quello che è sempre stato vero per millenni: che i vecchi erano più esperti, sapevano fare le cose meglio dei giovani. Oggi non è più vero. Sono i giovani a diventare virtualmente i maestri dei vecchi. È un completo rovesciamento che fa rosicare. Invidiare, in senso figurato. Il critico d'arte, come tutti i critici del resto, è parassita per necessità.
Non c'è nulla da fare?
Niente. Discorsi vecchi di un secolo. Già scazziati e metabolizzati a partire dalle avanguardie del Novecento: l'orinatoio che diventa fontana per Duchamp, il cubismo di Picasso, le dissacranti scatolette "Merda d'artista" di Piero Manzoni, Warhol declassato a "vetrinista", eccetera.
Ma lei è preoccupato?
Perché dovrei?
Qui Hirst rischia. A casa sua, a "New Religion" di Hirst, lei ha dedicato una cappella.
L'ho fatto perché lo "scatolone" acquistato, che una volta aperto diventa altare, veniva abusato dai miei ospiti per appoggiare culi, bicchieri, borse. Comunque, sfortunatamente, Hirst non è Dio. Si può discutere.
Che fa, abiura?
Hirst ha fatto alcune cose inutili, altre infelici, alcune straordinarie. Non tutte le scopate sono da ‘standing ovulation'. Una volta va bene, altre quattro meno. Capita a tutti. Manzoni mica ha scritto solo I promessi sposi.
Però Hirst è l'unico contemporaneo che incassa 200 milioni di euro in 48 ore.
È un problemino che riguarda solo collezionisti e nuovi ricchi dell'ex terzo e quarto Mondo, russi e cinesi affetti da capitalismo e infettati dall'idea dello status e del rango sociale. Negli anni del boom italiano, nei salotti del generone romano non mancava mai lo "Schifanetto sul divanetto". Non è scritto da nessuna parte che si debba possedere un Warhol o un Burri. Per essere felici basta muovere un mouse nelle gallerie di Google Art. Hai tutto: dalla Tate agli Uffizi. Quello che manca, di solito, è la cultura necessaria per "vedere" un'opera. Guardiamo ma non "vediamo". Zeri diceva: "Ognuno vede quello che sa".
Ci spiega "New Religion"?
Intanto, non conosco l'opera ma mi "riconosco" in essa. Per il suo profondo pathos spirituale. L'intuizione di Hirst parte dall'immortale "invidia di Cristo''. Lo scontro frontale tra fede e scienza, chiesa e farmacia, anima e corpo. Eh sì, la borghesia si è creata una propria "chiesa" chiamata farmacia, clinica, beauty center, spa. Dal cattolicesimo hanno portato via il simbolo della croce, trasformato il bancone in altare e il medico con il camice in prete. L'aspirina è tale e quale all'ostia. E se la prima promette la salvezza dell'anima, la seconda assicura la salvezza del corpo.
Quindi?
Abbiamo santificato la medicina quando fino a ieri, certe indulgenze, le garantiva solo la fede. Ma, suggerisce Hirst, con la sua croce tempestata di pillole e la Trinità ridotta a una pasticca, il sacro cuore infilzato di lamette e aghi e teschi che ridono, quando chiudi gli occhi e la tua anima è in fiamme, a che ti serve un'aspirina, un fiala di botox o un lifting del culo?
Quali sono i confini dell'arte?
L'arte contemporanea, si sa, non è un'entità concreta, afferrabile: il suo territorio non è definito da un significato che ne fissa i confini. E in un mondo dove niente è vero e tutto è verosimile, bisogna trattare il male con il male, la virtù con il virtuale, la bellezza con la monnezza, magari con un sospiro di leggerezza. Duchamp disse la parola definitiva. L'opera non appartiene alla mente dell'artista ma allo sguardo di chi la osserva.
Ma insomma, perché Hirst costa così tanto?
È il mercato, monnezza! Oggi uno stupendo Guercino va all'asta per 150 mila euro e un quadro di Hirst inzeppato di pallini colorati costa dieci volte. Nella vita reale non è "giusto", nella vita fiction vale tutto, la cacca diventa oro, e viceversa. Quello che importa, lo ripeto, è la fiction che ognuno di noi si fa davanti all'opera. Sempre se si trova il tempo di elaborare una fiction: lo choc tecnologico sta occupando ogni nostra cellula cerebrale...
Risultato?
Negli ultimi vent'anni la cosiddetta ‘'creatività'', dall'architettura alla letteratura, dalla musica al cinema, non ha partorito granchè di nuovo. Dall'arte di arrangiarsi si è passati all'arrangiarsi dell'arte. Tutto è rimasto fermo agli anni '80/'90: hanno sostituito Madonna con Lady Gaga ma la zuppa è rimasta la stessa. E il motivo è uno solo: siamo troppo "occupati" dalla rivoluzione tecnologica.
Ci fermeremo?
È pazzo? Siamo solo all'inizio