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    “HO 48 ANNI E DA 21 SONO SIEROPOSITIVA. HO L’HIV” – LA CONFESSIONE DI ELENA DI CIOCCIO: “HO SPERIMENTATO OGNI TIPO DI REAZIONE IN RISPOSTA ALLA MALATTIA: FUGA, COMPASSIONE, RABBIA. ORA NON VOGLIO PIÙ NASCONDERMI” – LA DIPENDENZA DA COCAINA: “USCIRNE NON È STATO SEMPLICE. HO SMESSO GRAZIE A MIA MADRE: MI VIDE USCIRE DAL BAGNO. MI GUARDÒ E DISSE: ‘ANCHE TU NO’” – I RAPPORTI INTERROTTI CON IL PADRE, IL LEADER DELLA PFM FRANZ DI CIOCCIO, IL SUICIDIO DELLA MADRE, I FIDANZATI CHE L’HANNO PICCHIATA E… - VIDEO: IL MONOLOGO A “LE IENE”


     
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    1. IL MONOLOGO DI ELENA DI CIOCCIO A "LE IENE"

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    “Ciao sono Elena Di Cioccio,  ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva.

    Ho l’Hiv, sono una di quelli con l’alone viola.

    Ero molto giovane quando questa diagnosi stravolse completamente la mia vita.

    All’inizio ho avuto paura di morire, poi di poter fare del male al prossimo.

    “E se contagi qualcuno?”, mi dicevo, “Non me lo perdonerei mai”.

    Non è mai successo, non ho mai contagiato nessuno e non sono morta.   

     

    Invece in questi  21 anni, mentre le terapie mi consentivano via via di vivere una vita sempre più normale, ad uccidermi è stata una smisurata vergogna di me stessa.

    Ho vissuto la malattia come se fosse una colpa.

    Pensavo che tra me e l’altro, la persona peggiore fossi sempre io.

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    Mi sentivo sporca, difettosa. Avevo timore di essere derisa, insultata, squalificata dal pregiudizio che ancora esiste nei confronti di noi sieropositivi.

     

    Così per difendermi, ho nascosto la malattia iniziando a vivere una doppia vita. Una sotto le luci della ribalta e un'altra distruttiva e depressa.

    Ma una vita a metà non è vita, e ho capito che ne sarei morta se non avessi fatto pace con quella parte di me.

    Io sono tante cose e sono anche la mia malattia.

    Oggi sono fiera di me, non mi vergogno più, e l’Hiv che è molto diversa da come ve la immaginate.

     

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    Io non sono pericolosa, sono negativizzata e finché mi curo io non posso infettare nessuno. Potete toccarmi, abbracciarmi, baciarmi e tutto il resto.

    Se volete continuare ad avere paura, io lo accetto, però girate lo sguardo verso il vostro vero nemico. L’ignoranza.”.

     

    2. ELENA DI CIOCCIO: «HO L’HIV, SONO SIEROPOSITIVA DA 21 ANNI. IL SUICIDIO DI MAMMA, LA COCAINA: NON VOGLIO PIÙ NASCONDERMI»

    Estratto dell'articolo di Chiara Maffioletti per www.corriere.it

     

    Per ventuno anni è stato un segreto, pesante come un macigno. Ora Elena Di Cioccio, attrice, conduttrice in radio e in tv, ha deciso di liberarsi del fardello che l’ha costretta, per non finirne schiacciata, a diventare nel tempo mille persone, tutte diverse da quella che lei è davvero.

     

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    Per stare finalmente bene, era necessario raccontare la sua verità: «Ho 48 anni e da 21 sono sieropositiva. Ho l’Hiv». Lo ha detto alle «Iene», di cui per anni è stata un’inviata. Lo racconta senza il minimo sconto, nel libro in uscita il 4 aprile, Cattivo Sangue (edito da Vallardi), in cui ricapitola una vita clamorosamente fitta di sfide e dolori. «Oggi non ho rimpianti e non sono più arrabbiata. Ma ho dovuto processare molte cose», spiega.

     

    Per quasi metà della sua vita ha cercato di nascondere il fatto di avere l’Hiv. Ora ha deciso di renderlo pubblico, scrivendoci anche un libro. Perché?

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    «Dopo anni passati divisa tra la paura e la rabbia, non mi sento più in difetto di niente. Io sono questa cosa qui e non voglio più nascondermi. Quando incontro ogni singola persona mi domando se, come e quando dire che sono sieropositiva: lasciando la mia parola scritta ora lo do per fatto, una volta per tutte».

     

    In questi anni, scrive nel libro, ha nascosto le medicine nel frigo dietro la lattuga perché nessuno le vedesse, confidando il suo segreto solo a pochissime persone.

    «E ho sperimentato ogni tipo di reazione in risposta a questa cosa: fuga, compassione, rabbia. Ma il problema è la partenza, non la risposta: è come sto io rispetto a questa cosa. Oggi un aiuto arriva grazie alla medicina che ha fatto finire l’epoca dell’alone viola, della paura, sia per voi ma anche per noi».

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    In che senso?

    «Quindici anni fa: mi taglio la mano in una classe di teatro, esce del sangue. Si avvicinano per aiutarmi e io urlo: “No, non mi toccate”. Cavolo che brutto carattere. Oggi processare questa gigantesca marea di emozioni è possibile grazie a quello che la medicina ci dice, e cioè che siamo pazienti cronicizzati e in nessun modo io posso contagiare qualcuno. Per me è un sospiro di sollievo: non devo più stare sempre in allerta».

     

    Eppure, dice, su questa malattia persiste lo stigma.

    «Purtroppo sì, perché la comunicazione si è fermata al 1989: abbiamo fatto dei passi in avanti con quattro baci e strette di mano passate e poi il nulla. Ma non possiamo fare come i bambini che fingono che qualcosa non esista perché ti fa paura».

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    […]

    La malattia ha pesato anche sul suo desiderio di diventare mamma, scrive nel libro.

    «È un capitolo molto sofferente per me. Oggi una donna sieropositiva negativizzata può avere rapporti anche senza preservativo e rimanere incinta. Per me non è stato così […]».

     

    Nel libro parla anche della sua infanzia: è figlia del leader della Pfm Franz di Cioccio e della manager Anita Ferrari. Si è spesso ritrovata sola, senza sapere con chi si sarebbe svegliata, travolta dalle liti in famiglia e infine allo sbando.

    «La separazione, non facile, tra i miei non ha aiutato. Ma in quegli anni però succedeva. Sono cresciuta prima del dovuto, dei buchi sono rimasti. Il mio intento non era sparare contro i miei genitori, come contro nessun altro. […]».

     

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    Sua mamma si è tolta la vita dopo che ci aveva già provato in passato. Come si può processare un simile dolore?

    «Processare il dolore non è uno sport per tutti e mia mamma aveva stratificato una quantità di dispiaceri davvero grande, non processandoli, appunto. Alla fine se la sono portata via».

     

    In poche righe, spiega anche che il figlio di sua madre, quindi suo fratello, è morto a tre anni, soffocato.

    «L’ho scritto in poche righe perché non volevo indugiare su questo dolore ma era necessario per raccontare davvero chi fosse mia mamma».

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    Cosa le aveva detto dopo il primo tentativo fallito?

    «È un inciampo che fanno in tanti quello di dire a qualcuno che soffre così: se mi vuoi bene smetti. Il problema è che non vogliono bene a loro stessi. […] Quando poi è successo, in qualche modo ero pronta. Mi ero già detta: arriverà il giorno che lo farà ma non posso stare sul balcone della vita ad aspettare che succeda. La mattina in cui ho trovato tutti quei messaggi sul telefono, ho capito tutto prima di leggerli».

     

    Nella sua vita ha sperimentato diverse dipendenze.

    «La dipendenza ti crea una situazione di benessere […] Il tuo impegno diventa anche cercare di uscire dal buco».

     

    Uscire da quello della cocaina non è stato semplice.

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    «Quello è stato un passaggio giovanile che è poi diventato altro. Sì, uscirne è stato molto faticoso e ringrazierò mia mamma per sempre per avermi fatto sentire il peso di quello che stavo facendo quando mi ha scoperta».

     

    Come è successo?

    «Eravamo a un matrimonio, sono uscita dal bagno e me la sono trovata davanti: tu che sei su di giri non ti accorgi di niente ma da fuori si vede tutto benissimo. Lei mi ha detto solo: no, anche tu no. Era così spaventata, così addolorata e impotente che mi è proprio passata attraverso».

     

    La sua dipendenza è stata anche affettiva, precipitando in relazioni tossiche in cui veniva anche picchiata.

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    «È sempre il tema del non proteggersi, qualcosa che non voglio fare più. Se sei in anoressia di affetto anche uno che alza la voce o peggio ti sta dando attenzione».

     

    […] Con papà al momento non abbiamo rapporti, ognuno è andato per la sua strada... e se penso a tutti quelli che mi chiamano per avere il suo numero o dei biglietti... ma c’è sempre domani. Domani può sempre accadere qualcosa di inaspettato». […]

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