Estratto dell’articolo di Antonio Polito per “Sette – Corriere della Sera”
VITTORIO FELTRI
Vittorio Feltri parla con disinvoltura della morte. Forse è un esorcismo. «Per me non è un tabù, l'ho incontrata così tante volte... La prima a sei anni. Ero il figlio più piccolo. Il giorno in cui è morto, mio papà Angelo mi fa chiamare al suo capezzale. Vuole vedermi prima di andarsene.
Io capisco subito che sta per morire. Si capisce, sai, quando uno se ne sta andando. Faccia agonica, la chiamano. Faceva fatica anche a battere le palpebre. Era malato del morbo di Addison, una cosa che oggi si cura con un paio di fiale di cortisone. Ma si vede che non mi bastava un lutto in giovane età.
vittorio feltri beve champagne in ospedale dopo l operazione per un tumore ai polmoni
A ventuno anni ingravido una ragazza (non vi aspettate da Feltri alcuna concessione al linguaggio “politicamente corretto”; ndr). Sulle scale del suo condominio, figurati la comodità. Eravamo imprudenti e ignoranti. L'aborto allora non era possibile, la legge lo vietava, e poi io sono anche contrario. Così la sposo. Nove mesi dopo corro all'ospedale dove lei ha appena partorito. Un'infermiera del nido mi viene incontro con due fagottini in braccio.
Io chiedo: qual è il mio? E lei: tutte e due. Due femmine. Svengo. Un medico mi rianima con un'iniezione. Passo in un attimo dalla disperazione all'euforia. Ma poi subito alla disperazione. Mi dicono che la mia Maria Luisa è morta per le complicanze del parto: eclampsia. Oggi non si muore più così, vero?»
vittorio feltri melania rizzoli
La domanda non è rivolta a me ma a Melania Rizzoli, amica, medico, giornalista, scrittrice e tante altre cose, seduta con noi al ristorante. La dottoressa conferma.
«Così mi ritrovo con due neonate in braccio.Come faccio da solo? A quel tempo ero alquanto povero, avevo vinto un concorso dell'amministrazione provinciale di Bergamo, non il massimo per la mia indole. Così almeno mi faccio trasferire al brefotrofio e ottengo di lasciare le due bambine lì, dove le hanno curate magnificamente, e dove ho anche incontrato la mia seconda moglie, Enoe».
E quando è morto Berlusconi, hai pianto?
«Non mi pare. Con lui avevo un eccellente rapporto. È l'editore che mi ha fatto ricco. E mai una volta che mi abbia telefonato per dirmi che cosa scrivere. Quando ereditai Il Giornale da Montanelli passai da 113mila copie a 250mila. E raddoppiai la pubblicità. Silvio, che ai numeri ci badava, chiama i suoi e dice: date a Feltri il 7% dell'azienda, un patrimonio che comprendeva anche un palazzo di sei piani. Io ne feci valutare il valore e veniva fuori una cifra imbarazzante. Così mi venne subito voglia di andarmene per farmela liquidare. Quando l'ho fatto, me la sono portata via con la carriola. Un editore così non puoi non amarlo. Però non ricordo di aver pianto».
Invece hai pianto per la gatta…
vittorio feltri ai tempi della direzione del giornale
«Sì, questo è vero. I gatti mi commuovono, esercitano su di me un fascino irresistibile».
Melania definisce Feltri «un gattolico praticante».
«Ma mica solo i gatti – aggiunge lui – una volta ho salvato dalla morte un asinello. Avevo letto sul giornale che l'avrebbero macellato a una Festa dell'Unità, così chiamai e proposi di acquistarlo. Pagai 500 euro e me lo portai a casa a Bergamo, e avresti dovuto vederlo, mi correva incontro come un cagnolone: a dispetto della fama che hanno gli asini sono intelligenti e affettuosi. Un'altra volta ho allevato per tre mesi un topolino. Facevo il capo servizio al politico del Corriere a Milano e la sera tornavo a casa tardi a Treviglio, in una cascina […]»
[…]
VITTORIO FELTRI SILVIO BERLUSCONI
Qualche tempo fa Feltri ha subito un intervento ai polmoni. Un piccolo tumore asportato da Giulia Veronesi al San Raffaele. E prima di entrare ha scritto un tweet: «Dio bono, si fa fatica anche a morire. Non ce la faccio».
«Non è che abbia paura della morte. È che mi spaventano le modalità con le quali arriva. So che la morte è un fatto naturale e inevitabile, ma non mi va di soffrire. Con quel tweet non intendevo dire che volevo morire, ma che non volevo. Poi mi sono svegliato vivo. E ho chiesto a Melania le sigarette».
Che ha avuto. L'intervento al mattino era andato bene, e al pomeriggio, miracolo della chirurgia robotica, Feltri fumava, scriveva e beveva champagne nel suo letto di ospedale. Scusa, ma quanto fumi, gli chiedo mentre se ne accende un'altra. E lui: «Più che posso». Melania dice che la sua salute deve godere di protezioni molto in alto.
VITTORIO FELTRI
Comunque, durante l'allegra degenza diventa anche compagno di aperitivo di Mario Draghi, che si trovava lì per assistere un congiunto. Sono rimasti amici e si vedono ancora. «Io però ho detto a Melania che deve aiutarmi a morire, quando sarà il momento. Se le donne possono dire “l'utero è mio”, io potrò dire che la vita è mia? Se siamo davvero padroni della nostra vita dobbiamo esserlo anche della nostra morte. Sono favorevole all'eutanasia. Quando mia madre ultranovantenne stava morendo in clinica, ho preso per il bavero un giovane medico e gli ho urlato “se non le fai subito un'iniezione di morfina ti ammazzo”. Gliel'ha fatta».
vittorio feltri con il suo gatto
In quest'atteggiamento guascone verso la morte, come verso ogni cosa, si è insinuata però una fragilità. Per lui il trauma vero non è stato l'intervento, racconta Melania, ma l'ottantesimo compleanno. La scadenza dell'anniversario a cifra tonda l'ha colpito psicologicamente.
Cammina molto lento, con estrema prudenza, e apparentemente a fatica, «pur non avendo nessun problema neurologico o di salute: ha perso energia, è come se avesse deciso che deve comportarsi da vecchio, nonostante io gli dica che oggi conta l'età biologica, non quella anagrafica». «Sai, per la cultura della mia generazione, ottant'anni era la fine – quasi si scusa lui –. Faccio più fatica in tutto, fatica nel senso fisico, stanchezza».
E in un'altra vita dopo questa, nell'aldilà, ci credi?
vincenzo de luca alessandro sallusti e vittorio feltri
«Per niente. Non sono credente. Qualche settimana fa sono stato dal Papa che mi ha regalato un rosario, l'ho passato a mia moglie. Rispetto la Chiesa, le verso anche l'8 per mille, ma penso che con la morte finisca tutto. Non vado nemmeno ai funerali» (anche se due eccezioni le ha fatte: una per Angelo Rizzoli, “mio fratello” lo definisce, l'editore che lo assunse al Corriere dalla Notte di Nutrizio, quando Montanelli se ne andò e portò con sé un pezzo di redazione, lasciando qualche spazio vuoto.
Ricorda ancora con che sorpresa, al riparo nel suo Maggiolino, aprì la prima busta paga e scoprì che era di un milione di lire, altro che le 400mila della Notte! L'altra eccezione l'ha fatta per un secondo “fratello”, Mario Cervi). «Però penso che sia inutile andare ai funerali, quando uno è morto è morto, che gli frega se ci vai o no? Sono cerimonie insensate e anche un po' farsesche. Non vorrei andare neanche al mio funerale». Aggiunge che non credere nell'aldilà presenta un indiscutibile vantaggio: non mandi mai nessuno all'inferno.
VITTORIO FELTRI E ORIANA FALLACI
Però ogni tanto gli viene il dubbio. «Immagino talvolta di vivere sotto un'altra forma, come puro spirito, come anima. Ma poi penso che senza corpo non potrei fare niente. Insomma, temo che sia una rottura di coglioni peggio che qui». Fa dei so- gni collegati alla morte. In uno, ricorrente, la moglie scomparsa lo insegue a piedi mentre guida una Cinquecento e gli urla di aspettarla, ma non riesce a fermare l'auto, così la donna si allontana sempre di più, e lui è assalito dall'angoscia di non riuscire ad aiutarla. In un altro sente la voce di Oriana Fallaci che lo chiama, e lui le grida “vattene via, vattene che ho paura!”.
Va detto che erano amici, lui l'ha ospitata a casa sua a Milano quando lei era tornata in Italia per morire qui. Melania, che ha lavorato con i malati terminali, dice che quando cominciano a raccontare di aver ricevuto una visita dall'aldilà, di aver visto una madre o un marito morto che appare loro all'improvviso, di solito è l'annuncio che stanno per andarsene, come se qualcuno fosse venuto a prenderseli.
MELANIA RIZZOLI VITTORIO FELTRI
«Gaetano Afeltra, un napoletano spassosissimo, aveva nella sua stanza al Principe di Savoia a Milano un grande specchio a grandezza d'uomo di fronte al letto. Fui sorpreso nello scoprire che l'aveva ricoperto con la carta da pacchi, in modo che non restituisse più alcuna immagine. Mi raccontò che l'aveva fatto perché quando si svegliava di notte per andare in bagno si spaventava di se stesso vedendo la sua cap' e' muorto, come diceva lui. Ognuno ha i suoi fantasmi».
Chiedo a Melania, donna di scienza, se la morte è una malattia che prima o poi sconfiggeremo. «No, nel destino c'è una scadenza per ciascuno di noi. Ma la morte si può allontanare, procrastinare. Devi essere magro però, saltare i pasti, mangiare poco. C'è chi dice che un uovo crudo al giorno aiuti». Capisco che non è un caso se a Vittorio hanno servito un attimo prima un uovo crudo sciolto nel Marsala. Pare che sia il suo pranzo abituale.
vittorio feltri
Feltri aggiunge che conta molto il lavoro. Che per vivere a lungo è fondamentale tenere allenato il cervello: «Bisogna però avercelo, il cervello…».Il suo, posso garantirvelo, funziona benissimo.
Sotto quell'aria sorniona, che sembra annoiarsi di tutto, è sempre vigile e pronta a scattare l'ironia, la beffa, il motto di spirito. «Io comunque – aggiunge – sto male nei giorni in cui non escono i quotidiani». Di lui si potrebbe dire che vive davvero alla giornata, condanna comune a molti giornalisti.
Non ha neanche comprato una tomba, o un loculo, non gliene frega niente di quello che faranno gli altri dopo che se ne sarà andato. Almeno così dice.
Per lui vale ciò che affermava Epicuro: la morte non è nulla, perché quando ci siamo noi non c'è lei e quando c'è lei non ci siamo più noi. Forse Feltri è davvero uno degli ultimi epicurei. Un tempo, più ottimisticamente, pensava che invecchiare fosse il modo migliore per non morire.
Ora, che ha appena compiuto 81 anni, l'invecchiamento palesemente lo turba, e forse lo spaventa. Dice che ha perso entusiasmo per le cose, i viaggi, i cibi. Ma è nel suo stile fare il burbero e il cinico senza poi esserlo davvero fino in fondo, rivelando anzi fragilità e dolcezze insospettabili (e una buona dose di generosità verso chi ha bisogno, tenuta accuratamente nascosta).
vittorio feltri
So che è un appassionato della poesia di Umberto Saba, al punto da aver dato a una figlia il nome di Saba Laura. Gli ricordo la sua Epigrafe: “Parlavo vivo a un popolo di morti/ morto alloro rifiuto e chiedo oblio”. Risponde che anche lui ha scritto un'epigrafe per sé, un verso di una sola parola: «Finalmente».
vittorio feltri nella sua cabina armadio vittorio feltri foto di bacco (2) vittorio feltri foto di bacco (9) melania rizzoli vittorio feltri foto di bacco (3) vittorio feltri nel 1965 ai tempi del servizio militare vittorio feltri a 3 anni vittorio feltri nel 1978 nella redazione del corriere della sera