Michelangelo Borrillo per il ''Corriere della Sera''
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Giovanni, a un certo punto, ha dovuto scegliere. Tra le fragole e i legumi, ha preferito le prime. Perché sono un prodotto simbolo della Basilicata e, in particolare, della zona di Policoro, in provincia di Matera, dove ha sede «Fruttazero», la sua azienda. Che sul mercato non poteva presentarsi senza fragole.
Come Giovanni, tanti altri agricoltori, negli ultimi due mesi, hanno dovuto scegliere cosa raccogliere: per mancanza di manodopera c' è ci ha lasciato il basilico nei campi in Sicilia, le fave in Basilicata, la rucola nel Lazio. E nei prossimi mesi potrebbe essere costretto a fare scelte simili per pesche e albicocche, peperoni e zucchine, susine e uva.
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Giovanni, di cognome, fa Lippo.
E a causa del coronavirus - che non ha permesso ai braccianti stagionali stranieri di venire in Italia a causa del blocco della circolazione - si è ritrovato con la manodopera dimezzata. «L' anno scorso, ad aprile, potevo contare su 15 operai. Quest' anno, senza il rientro dei rumeni, eravamo in 7. Per questo ho dovuto scegliere tra fragole e legumi, e ho scelto le prime perché sono di maggior pregio.
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Ma fra qualche settimana potrei trovarmi a doverle sacrificare per pesche e albicocche: la coda della raccolta delle fragole si accavallerà, infatti, con quelle primizie». A determinare la scelta sarà l' andamento del mercato: la richiesta dei prodotti e i prezzi. Giovanni, comunque, si ritiene fortunato: «Almeno il clima ci ha aiutato: senza particolari picchi di caldo, la produzione delle fragole è stata "a scalare" e così le abbiamo potute raccogliere tutte. Altrimenti, con i legumi le avremmo dovuto lasciare in parte nei campi».
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Se a Giovanni sono mancati i rumeni, Luca e la sua azienda «I ragazzi della verdura» hanno sofferto per la mancanza di indiani. Che lo aiutavano a raccogliere ortaggi a Sant' Angelo Romano, in provincia di Roma. «Ci siamo ritrovati, da una stagione all' altra - spiega Luca, che di cognome fa Fiorentino - da 12 a 5. E così addio a insalate, spinaci e rucola».
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Sulla scia di questa esperienza, Luca ha deciso di ridurre i prossimi raccolti: «Per zucchine, melanzane e peperoni abbiamo seminato di meno, così la produzione sarà inferiore del 30% e dovremmo farcela a raccoglierla. Certo, risparmio in manodopera, ma i costi fissi restano gli stessi. E così quando verrà il supermercato a chiedermi uno sconto, non sarò in grado di concederlo».
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Questi problemi andranno avanti anche nei prossimi mesi e in ogni parte d' Italia, se non sarà trovata una soluzione - come hanno più volte chiesto al governo Cia, Coldiretti e Confagricoltura - alla mancanza di manodopera (a marzo sono state perse 500 mila giornate di lavoro in agricoltura rispetto a marzo 2019, pari al 10% del totale).
Nel ciclo delle raccolte, infatti, siamo ancora all' inizio, sebbene sia questa la fase più delicata perché si programmano anche le grandi produzioni estive, dai pomodori al grano, e si preparano le vigne e le potature degli ulivi, che in autunno daranno olio e vino.
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Per fortuna, però, gran parte della raccolta di grano e pomodori è meccanizzata, per cui i problemi saranno superabili. Lo conferma Gianmarco Laviola, amministratore delegato di Princes Industrie Alimentari di Foggia, la più grande azienda di trasformazione dei pomodori nel Mezzogiorno: «Ma sebbene oggi la necessità di forza lavoro per la raccolta dei pomodori sia minore grazie alla raccolta ormai meccanizzata al 100%, da sempre Princes ha preteso dai propri partner agricoli il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori». Perché il caporalato, quando si parla di campi, è sempre dietro l' angolo.
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