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    “HO FINTO DI CONVERTIRMI ALL’ISLAM PER ESSERE TRATTATO MEGLIO” – IL RACCONTO DI NICOLA CHIACCHIO, L’OSTAGGIO ITALIANO RILASCIATO IN MALI INSIEME A DON MACCALLI: “NON CI HANNO PICCHIATI, MA PER PUNIRCI CI HANNO TENUTI PER ALCUNI GIORNI INCATENATI AGLI ALBERI. CI HANNO DETTO CHE UNO DEGLI OSTAGGI, LA DONNA SVIZZERA, ERA STATO UCCISA” – “C'È STATO UN BOMBARDAMENTO CON ELICOTTERI E SI CREDEVA CHE FOSSE UN'OPERAZIONE DI LIBERAZIONE, CHE CI FOSSERO VENUTI A PRENDERE. IO SONO FUGGITO, MA…”


     
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    Valentina Errante Cristiana Mangani per “Il Messaggero”

     

    pier luigi maccalli nicola chiacchio pier luigi maccalli nicola chiacchio

    Sono tornati a casa gli ultimi due ostaggi italiani nelle mani dei terroristi islamici. Provati, magri, ma in buona salute. Erano stati rapiti in Niger due anni fa, in momenti diversi e in situazioni diverse. Ieri hanno raccontato la loro prigionia ai pm Sergio Colaiocco e Francesco Dall'Olio. Padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio, silenzioso e riflessivo il primo, espansivo e loquace il secondo. Barbe lunghe, capo coperto da un cappello e la mascherina sul viso.

     

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    «Abbiamo saputo del Covid da una radio che ci è stata data dai sequestratori», hanno spiegato. Ad accoglierli il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un aeroporto reso off limits dall'epidemia in corso. Sono stati anni difficili, di paura. «A un certo punto - hanno raccontato ai magistrati - c'è stato un bombardamento con elicotteri e si credeva che fosse un'operazione di liberazione, che ci fossero venuti a prendere. Ma invece era un'altra situazione. La gente scappava». «Anche io sono fuggito - aggiunge Chiacchio - Avevo percorso un bel tratto, ma poi sono stato ripreso».

     

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    LE PUNIZIONI Non sono stati picchiati, ma a volte, per punizione, gli venivano messe le catene ai piedi, oppure li facevano stare scalzi. Come quando è riuscito a fuggire Luca Tacchetto, il padovano tornato libero a marzo dopo 15 mesi di prigionia. «Il momento peggiore è stato proprio quello - raccontano - ci hanno tenuti per alcuni giorni incatenati agli alberi. Ci hanno detto che uno degli ostaggi era stato ucciso, la donna svizzera. Ma non abbiamo saputo se fosse veramente morta».

     

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    Chiacchio, sequestrato mentre faceva un giro dell'Africa in bicicletta, ha anche tentato di convincere i rapitori: «Ho detto che mi volevo convertire - dice ai pm - ma l'ho fatto perché volevo essere trattato meglio». Ha scelto realmente l'Islam, invece, l'ostaggio francese, la 75enne operatrice umanitaria Sophie Petronin.

     

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    Dopo 4 anni di prigionia è tornata con il capo coperto e, come Silvia Romano, ha cambiato nome: si chiama Mariam. Ha rischiato la vita per motivi di salute, ma fa progetti per tornare in Mali, per il quale «implora le benedizioni e la misericordia di Allah». Subito dopo la liberazione, i due italiani hanno raccontato di essere stati trasportati in auto per 5 ore fino all'aeroporto. Poi 3 ore di volo verso Bamako, dove sono stati accolti dal presidente del Mali, il colonnello Goita, che, per ottenere la liberazione degli ostaggi, ha rilasciato 180 prigionieri.

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    LA TRATTATIVA Le trattative non si sono mai interrotte, in questi due anni sono arrivate diverse prove dell'esistenza in vita degli ostaggi, ma l'annunciata liberazione non avveniva. La svolta è stata politica: oltre alla francese Petronin, infatti, tra i rapiti c'era anche il politico maliano Soumaila Cisse, leader dell'opposizione sequestrato la scorsa primavera alla vigilia delle elezioni.

     

    I disordini interni e la recente pronuncia della Corte Costituzionale, che ha ribaltato il risultato elettorale, hanno costretto il presidente a trattare con i sequestratori. Resta ancora sotto sequestro il medico australiano Ken Elliott, la suora colombiana Gloria Cecilia Narvaez Argoti (per la quale stava mediando anche il Vaticano), il cittadino sudafricano Christo Bothma, il romeno Julian Ghergut e la svizzera Beatrice Stockly, che sarebbe stata uccisa durante la detenzione, perché si sarebbe ribellata.

     

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    I RAPITORI «Siamo stati gestiti da tre gruppi, in particolare da Jnim, tutti appartenenti alla galassia jihadista legata ad al Qaeda - è ancora la ricostruzione fatta con i pm - Il primo è stato quello dei pastori fulani, il secondo composto da rapitori di origine araba e il terzo da tuareg. Siamo stati sottoposti a lunghi spostamenti, che duravano giorni, anche su moto e barche, attraversando il Burkina Faso per arrivare fino in Mali. Siamo stati tenuti insieme da marzo del 2019 fino alla liberazione».

     

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    Il religioso, sacerdote della Società delle Missioni Africane, è stato prelevato intorno alle 23 del 17 settembre 2018. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti sarebbe stato «venduto» da un soggetto che aveva avuto contatti con la missione Bomoanga, a circa 150 km dalla capitale nigerina Niamej. «L'uomo bianco è tornato», la frase recapitata al gruppo di jihadisti, i pastori fulani, che hanno gestito il primo mese di sequestro. «Un gruppo di uomini armati, a bordo di sei moto, ha fatto irruzione all'interno del locale parrocchia e mi ha portato via», ricorda Maccalli.

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    I familiari aspettano ora i due ex ostaggi a casa. «Felicissima» la sorella del missionario (il fratello Walter è pure lui missionario, in Liberia): «Non vedo l'ora di riabbracciarlo», ha detto. La notizia tanto attesa è stata accolta dai rintocchi a festa delle campane dell'intera Diocesi di Crema.

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