Paola Caruso per "www.corriere.it"
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Si è tolta la vita l'attivista egiziana per i diritti Lgbt Sarah Hijazi, 30 anni, arrestata nell'ottobre del 2017 durante un concerto al Cairo. La sua colpa? Aver sventolato una bandiera arcobaleno, simbolo Lgbt, durante l'evento dal vivo. Stuprata e torturata in carcere in Egitto, era stata rilasciata un anno fa (dopo le pressioni internazionali) e da allora viveva in esilio in Canada.
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Le violenze subite l'hanno segnata in modo profondo, al punto di compiere il gesto estremo del suicidio, come lei stessa ha scritto nel biglietto di addio lasciato ai cari. «Ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. L'esperienza è stata dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi», ha scritto su un foglio di carta a righe. Era stata accusata di voler «diffondere l'omosessualità» in Egitto e per questo ha pagato un prezzo altissimo. Il suicidio è stato anche confermato dal suo avvocato.
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Patrick Zaky
Al momento, in carcere in Egitto c'è lo studente Patrick George Zaky, attivista e ricercatore che studia all'università di Bologna, arrestato 4 mesi fa con l'accusa di sovversione (rischia l'ergastolo).
Per il ragazzo egiziano di 27 anni, il 12 giugno si è svolta a Bologna una manifestazione in Piazza Maggiore, per dire che «rivogliamo Patrick Zaky con noi in città e denunciamo ogni accordo tra lo Stato italiano e il regime» egiziano. Si tratta della prima mobilitazione in piazza per dare solidarietà allo studente egiziano dell'Alma Mater, dopo l'emegenza Coronavirus.
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