Michele Farina per il “Corriere della Sera”
Un fallimento da ricordare?
apollo 13
Mentre Trump ordina di scavare miniere sulla luna, sulla Terra ricorre l' anniversario di uno smacco di successo. L' 11 aprile del 1970 dalla base di Cape Canaveral partiva l' Apollo 13: tre uomini, tre americani, tornavano lassù a neanche un anno dallo storico «primo passo» di Neil Armstrong. Ma al secondo giorno ci fu un' esplosione a bordo. Luna addio. Fu già un miracolo se i tre riuscirono a tornare a casa.
Il comandante James A. Lovell parlò di un fallimento, «anche se mi piace pensare un fallimento riuscito». In fumo 375 milioni di dollari, ma nessuna vita.
Da quell' odissea nacque un film mozzafiato, con Tom Hanks nella parte del comandante. Pochi ricordano la causa prima dell' incidente (un serbatoio d' ossigeno aveva subito un danno durante le prove a terra, ma non venne sostituito per non ritardare «la finestra di lancio»). Quasi tutti conosciamo una battuta, cinque parole: «Houston, abbiamo un problema».
apollo 13 film
È diventato l' annuncio (per antonomasia) di qualcosa che sta andando storto, un' emergenza che non sappiamo come finirà, un certo stile nel reagire. Pacatezza nell' incertezza. «Houston, we have a problem». E pazienza se non furono le parole esatte che arrivarono sulla Terra, da una voce distante 300 mila km. Fu Jack Swigert, pilota del modulo di comando (morì a 51 anni nel 1982), a comunicare con la base Nasa in Texas: «Okay, Houston, qui abbiamo avuto un problema». Da giù chiesero di ripetere, e il comandante Lovell confermò: «Abbiamo avuto un problema».
Venticinque anni dopo, lo sceneggiatore di Ron Howard decise di mettere il verbo al presente. E niente «okay». Più forte, più drammatico. «Houston, we have a problem».
Forse, nello spazio, il passato suonava più confortante, come se il problema fosse già risolto. In realtà l' incubo era appena cominciato. Si concluse quattro giorno dopo, con un tuffo salvifico nell' oceano Pacifico.
apollo 13 anniversario
«Houston» non fu l' unica frase «infedele» del film. Nella realtà il direttore della missione, Gene Kranz, non disse mai ai suoi uomini (che nell' open space tenevano gli occhi sui monitor e le orecchie puntate sugli astronauti): «Failure is not an option». Lo ha ricordato lui stesso in questi giorni, in occasione dei 50 anni dalla missione. Lui disse: «Questo equipaggio torna a casa. Dovete crederci. E faremo in modo che accada». A Kranz non piace la frase che gli hanno messo in bocca gli sceneggiatori. «Il fallimento non è un' opzione»: un' espressione forse più vicina al vocabolario super-vincente del minatore lunare Donald Trump piuttosto che a quello di un soccorritore da remoto.
Allora come oggi ci sono uomini da salvare, non insuccessi da scongiurare: è una differenza sottile, di linguaggio e prospettiva, che in tempi di coronavirus vale la pena di ricordare.
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