Bruno Ruffilli per “la Stampa”
LUIGI DI MAIO THOMAS MIAO
Un bollino per le apparecchiature 5G che funzioni come il marchio CE: valido a livello comunitario e riconosciuto da ogni Paese della comunità. Questa è la proposta di Thomas Miao, Ceo di Huawei Technologies Italia. «La sicurezza informatica nazionale è fondamentale oggi e lo sarà ancor più in futuro, quindi capisco le preoccupazioni dei vari Paesi. Ma il Golden Power italiano così com' è ci discrimina», dice a La Stampa.
huawei a shenzhen 1
Il dispositivo consente al Governo di porre il veto a contratti relativi a progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione delle reti se coinvolgono soggetti esterni all' Ue.
Dunque, se parliamo di 5G, non Nokia e neppure Ericsson, ma Huawei e Zte. «Il quadro normativo deve essere chiaro e condiviso. Si potrebbe partire dall' esperienza della Germania, che recentemente ha definito regole chiare e uguali per tutti i fornitori di tecnologia. O dal Regno Unito, dove il NCSC (National Cyber Security Centre) ha chiesto di modificare alcune parti del codice, anche se non ci sono problemi di sicurezza.
thomas miao inaugura la sede milanese di huawei con beppe sala
E abbiamo investito per migliorare il software». Il problema non è italiano ma globale: «I nostri fornitori si trovano in tutto il mondo, così come quelli dei concorrenti e nessun mercato è vasto come quello delle comunicazioni, però noi siamo in una posizione di svantaggio perché la nostra sede è a Shenzhen», osserva Miao.
MEME SU GOOGLE E HUAWEI
Il Golden Power non è un danno solo per l' azienda cinese: l' incertezza sul futuro potrebbe finire per impoverire l' economia italiana. Secondo uno studio EY, infatti, la disponibilità di reti e servizi di prossima generazione nel nostro Paese nel periodo 2020-2035 potrebbe valere circa lo 0,3% del PIL, ossia tra 5 e 6 milioni di euro l' anno.
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Per gli operatori, secondo una stima recentissima di Ericsson, il 5G potrebbe aprire da qui al 2030 un mercato da 700 miliardi di dollari, soprattutto in settori come salute, industria, auto ed energia.
«Quando abbiamo iniziato, nel 2016, l' Italia era in prima fila nel 5G, ora altri Paesi ci hanno superato. Per gli operatori l' obbligo di notifica al Governo rallenta le operazioni e rende più difficile attuare strategie a lungo termine». Indirettamente è anche una questione economica: le pratiche burocratiche necessarie richiedono tempo e denaro, quindi scegliere un' azienda cinese significa spendere di più.
LA GUERRA DI DONALD TRUMP A HUAWEI
Così per Huawei la soluzione va cercata nell' Europa, e il Commissario agli Affari Economici e Monetari Gentiloni potrebbe avere un ruolo determinante: «In primis serve un approccio unificato e coordinato tra i vari Paesi, è poi necessario che copra tutti gli aspetti del 5G, e infine che definisca una serie di strumenti tecnici per valutare apparecchi e software». Tutto nel rispetto della concorrenza: per Miao non ci saranno costi aggiuntivi, e anzi il marchio comunitario sarà una garanzia di qualità anche su altri mercati, un po' come il GDPR è diventato lo standard di eccellenza per la privacy pure fuori dall' Europa.
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Intanto, in un anno pieno di sfide per Huawei, l' azienda ha investito molto in Italia: a febbraio è nato l' Innovation Center milanese, cui è seguito un centro di design, poi la nuova sede romana. E ancora: l' annuncio di investimenti per 3,1 miliardi di euro nei prossimi tre anni, le borse di studio e un meeting per gli sviluppatori a Milano il prossimo 26 novembre. Ma Miao è molto fiero del tour dedicato alle smart cities: «Abbiamo raccolto intorno a noi oltre 2000 partner, stiamo creando un ecosistema per lavorare sulle città di domani. In fondo questo fa parte della tradizione italiana, che ha creato il modello urbano ideale combinando architettura e ingegneria». Poi replicato anche nel nuovo campus Huawei, a Songshan Lake, dove si vedono riproduzioni fedeli e un po' stranianti del centro storico di Verona e Bologna. La prossima sfida? «L' intelligenza artificiale».
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