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“HUGO CHÁVEZ? ERA MIO AMICO” – SEAN PENN STRAPARLA SENZA COPIONE: “IN VENEZUELA HA CAMBIATO LE COSE. IO SONO MOLTO GRATO PER L'ESISTENZA DELLA CIA, MA IN SUDAMERICA SONO STATE FATTE COSE TREMENDAMENTE SBAGLIATE, COME IN CILE, E C'È UNA RAGIONE PER ESSERE PARANOICI" - LE CRITICHE PER L'INTERVISTA AL CHAPO: “È STATO UN GROSSO MALINTESO. NON CELEBRERÒ MAI QUALCUNO CHE FA A PEZZI NEONATI CON UNA MOTOSEGA” - IL DOC SU ZELENSKY, GLI AMORI (SCARLETT JOHANSSON, CHARLIZE THERON, LEILA GEORGE, CON CUI HA DIVORZIATO A UN ANNO DALLE NOZZE) – “NON HO MAI LASCIATO, MI HANNO LASCIATO, SONO UNA PERSONA CON CUI È IMPOSSIBILE VIVERE” - VIDEO
Estratto dell’articolo di Luca Mastrantonio per “Sette – Corriere della Sera”
Incontriamo Sean Penn al quinto piano di un hotel di Cannes durante lo scorso Festival. Indossa jeans e una t-shirt aderente, ha un fisico che non si arrende al tempo, né ai tempi che stiamo vivendo. I bicipiti si animano quando muove le mani, anche di poco, per far roteare tra le dita il pacchetto di sigarette, che non fumerà, non durante l'intervista almeno. Alle nostre spalle, fuori dalla camera, le guardie del corpo. […]
L'occasione dell'incontro è il film in cui è tornato a recitare, dopo anni in cui è per lo più dietro la macchina da presa. Si chiama Asphalt City, esce ora negli Stati Uniti e in Italia in autunno (distribuito da Vertice 360), e racconta la vita di due paramedici a bordo di un'ambulanza, che prestano servizio notturno nei bassifondi di New York […]
Perché aveva smesso di recitare?
«Erano 15 anni che non mi godevo la recitazione. Da Milk di Gus Van Sant, l'ultimo film che ho apprezzato. Anche se mi arrivavano buone proposte, recitando mi sentivo molto infelice. Così mi sono fermato. Poi ho accettato due progetti. Asphalt City, e un film con Dakota Johnson, Daddio, di Christy Hall, scritto con cura su tutto ciò che ci preoccupa oggi riguardo alla politica della sessualità.
Uomo anziano, donna più giovane, sono estranei, lui è un tassista, la prende sul taxi, il film è il loro tragitto in taxi. Sul set c'erano quasi solo donne, era scritto e diretto da una donna e questo mi ha permesso di esplorare angoli a cui non mi sarei mai avvicinato se fosse stato diretto da un uomo. Non dovrebbe essere così, perché tutti dovrebbero poter dirigere qualsiasi cosa, ma Christy mi ha dato le parole per esprimere ciò che ci è vietato dire in questi giorni e mi ha permesso di contro-argomentare i suoi ragionamenti.
Abbiamo avuto conversazioni per accertarci che, nonostante partissimo da posizioni molto diverse, alla fine eravamo d'accordo e ci riferivamo alla stessa cosa. Con Daddio ho avuto la migliore esperienza che abbia mai avuto recitando (sorride, ndr ), neanche da giovane mi sono divertito tanto. Forse perché poco prima ho recitato in Asphalt City, che sulla carta è il massimo: Jean-Stéphane Sauvaire alla regia, c'è Tye Sheridan, David Ungaro alla fotografia... ma ero sotto pressione, mi preoccupavo per Jean-Stéphane, aveva un'ambizione molto alta, come era giusto». […]
Oggi c'è una grande offerta con lo streaming...
«Sono riluttante, la ragazza di cui mi sono innamorato anni fa è lo schermo del cinema, amo l'esperienza condivisa con gli sconosciuti di guardare un film, che quando finisce non sei più uno sconosciuto con il resto del pubblico, come un viaggio in taxi, alla fine del quale non si è più due sconosciuti, e si sta bene anche senza parlare.
Non posso lasciare quella ragazza, è mia moglie, di cui sono innamorato. E beh, non intendo la moglie vera. Io non ho mai lasciato, mi è successo l'opposto, mi han lasciato, io non lascio, certo, sono una persona con cui è impossibile vivere... ma è un'altra storia».
Il suo personaggio di Asphalt City è duro con sé stesso, ammette i propri errori. Pure lei fa così?
«So già a cosa lei sta pensando. Penso si riferisca a due errori in particolare. Uno è politico, l'altro personale e riguarda famiglia, mogli, amanti ... Diciamo che sono diventato bravo nelle relazioni, ma ci ho messo molto tempo per iniziare ad ammettere i miei errori, e alla fine questo mi ha anche portato a commetterne di meno. Se rimani saldo nelle tue convinzioni, finisci per essere più cauto e per scusarti meno. Poi, ci sono un paio di punti critici nel mio passato da giornalista e attivista politico globale...»
Hugo Chávez?
«Era mio amico, gli volevo bene. Quando ha preso il potere, l'80% del suo Paese non aveva un'identità, accesso alle cure mediche o all'istruzione, né un lavoro. E lui ha cambiato le cose. E io l'ho visto. Non perché mi dicessero cosa vedere, ma perché ho trascorso molto tempo lì. E il Paese lo amava... Quindi ho scritto e detto alcune cose a suo favore. E poi, sa, alcuni leader dovrebbero governare come fanno i marines.
Sono i primi ad arrivare, fermano l'emorragia e si allontanano. Io sono un fervente sostenitore delle istituzioni, sono molto grato per l'esistenza della CIA, ma in Sudamerica sono state fatte cose tremendamente sbagliate, come in Cile, e c'è una ragione per essere paranoici. Così, se gli Usa ti stanno puntando, in ogni parte del mondo un leader sceglierà persone in cui ha fiducia anche se non sono le migliori, i più competenti, per i lavori da svolgere e per le istituzioni».
E poi cosa è successo?
«Poi lui ha fatto il referendum (per abolire il limite costituzionale al numero di mandati, ndr) e gli dissi che non avrei scritto più su di lui. Oggi penso che quello è stato un grosso errore. Ma Chávez è una persona denigrata, in modo sbagliato. Diciamo che non devi essere una persona terribile per essere come Nicolás Maduro, basta essere un pessimo manager senza carisma. Ecco il Venezuela oggi. Ma non ho da chiedere scusa al riguardo».
L'hanno criticata anche per l'intervista a Joaquín Guzmán Loera, il narcotrafficante...
«Sì, mi hanno accusato di aver celebrato El Chapo, ma non l'ho mai fatto, semplicemente alcuni hanno deciso di attaccarmi dicendolo. Mio cugino è nella DEA, l'anti-narcotici, e non celebrerò mai qualcuno che fa a pezzi neonati con una motosega. L'intervista è stato un grosso malinteso. Ciò di cui veramente mi pento, ora, è di non essere sul fronte ucraino, ad aiutare».
volodymyr zelensky sean penn superpower2
Lei si trovava in Ucraina prima dell'invasione russa, per girare Superpower , un documentario su Zelensky, da ex comico a politico. Poi gli eventi l'hanno trasformato in un leader militare. Ho letto che ha dato uno dei suoi Oscar a Volodymyr Zelensky. Quale?
«Quello di Mystic River, perché quello di Milk è rotto e non volevo dargli uno rotto.»
Ha anche detto che lo riprenderà solo se l'Ucraina dovesse vince la guerra. Ci crede?
«"Vincere" non ha molto senso quando così tante persone muoiono: con tanta distruzione, nessuno vince davvero. Ma credo, con tutto me stesso, che l'Ucraina può dominare questo conflitto militare. Con il giusto supporto, avrebbero potuto farlo già, e Putin sarebbe già politicamente fregato, e potrebbe succedere ancora.
Nel peggiore dei casi, lui mantiene la Crimea, va in profondità, continua a bombardare parti di Kiev e altri luoghi, distruggendo le rotte navali. Può continuare per anni. Ma alla fine, con o senza il nostro aiuto, gli ucraini domineranno. Ora non so come stia andando».
Lei è per i diritti gay, era contro la guerra in Iraq, aiuta nei Paesi funestati da catastrofi naturali... Qual è la filosofia del suo attivismo?
«Mi concentro su questioni che non hanno abbastanza visibilità. E io voglio attrarre l'attenzione per sensibilizzare persone come me, o persone che non possono permettersi di viaggiare dove io vado, perché possano avere le informazioni che non hanno, di contesti che non conoscono». […]
sean penn
sean penn oscar 2004
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sean penn mena un paparazzo
sean penn
sean penn gangster squad 2
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sean penn e madonna a new york nel 1986 ph ron galella
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