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Claudia Guasco per “il Messaggero”
«Sono un cacciatore di pedopornografia in rete. Questo è il mio lavoro, sintetizzato in poche parole. Ma dietro c'è un mondo oscuro, nascosto e per entrarvi servono le chiavi di accesso giuste. Soprattutto, una buona dose di pazienza per conquistare la fiducia delle persone che vogliamo smascherare».
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È così che, due giorni fa, la polizia postale di Torino guidata da Fabiola Silvestri ha scardinato un vasto quanto orribile giro di pedopornografi che si scambiavano immagini e video di violenze sessuali su minori, molti addirittura neonati. Tre arresti, tra cui l'ex direttore della Caritas di Benevento don Nicola De Blasio, ventisei indagati e dieci mesi di immersione totale in un abisso definito «raccapricciante» da parte dei quattro agenti sotto copertura che hanno operato sul campo.
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È il più anziano in servizio, da ventidue anni impegnato su questo fronte, a raccontare come si combatte ogni giorno il male assoluto restando in equilibrio e portando a termine la missione.
INTUITO E PSICOLOGIA
«Mi occupo di pedopornografia da quando sono entrato in polizia. Una ventina di anni fa il servizio centrale cercava personale specializzato per contrastare i reati legati al mondo del web, allora se ne parlava poco e se ne sapeva ancora meno. Io stavo studiando ingegneria elettronica, ho accettato subito la sfida».
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Accorgendosi presto che l'aspetto tecnico, in questo lavoro, è solo una delle componenti: bisogna essere intuitivi, un po' psicologi, capire che tipo di persona si nasconde dietro allo schermo e fare in modo che pensi di aver trovato un sodale. «È un lavoro molto duro, richiede esperienza, un bagaglio tecnologico ma anche conoscenza degli ambienti in cui ci si muove, analizzarlo e adottare la giusta modalità comportamentale».
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Niente fretta, dunque, perché anche un minimo passo falso potrebbe compromettere mesi di attività. E infatti l'inchiesta di Torino, peraltro solo all'inizio, è cominciata alla fine all'inizio del 2021, nell'ambito dei costanti monitoraggi effettuati sul web dalla polizia postale.
PEDOPORNOGRAFIA
«Noi scandagliamo la rete, entrando in quegli spazi che sappiamo possano essere oggetto di interesse per i pedofili, dalle piattaforme al dark web. Il primo intervento è di selezione, questo mondo pullula di sfruttatori che promettono un certo tipo di immagini e poi girano del materiale pornografico qualunque, intascandosi i soldi. Noi entriamo laddove abbiamo notizia o il sospetto che circolino link pedopornografici. È così che abbiamo identificato il diciottenne di Bari che aveva creato un circuito dedicato, una zona protetta nella quale si entrava pagando 8 euro: siamo risaliti a lui tramite alcuni messaggi».
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Una volta messo a fuoco il bersaglio, si passa alla fase più ponderata e complessa, «perché si tratta di creare contatti, interagire, stabilire empatia con gli interlocutori». La difficoltà, riflette l'agente, «è proprio questa, instaurare legami, suscitare affinità, far sentire queste persone parte di qualcosa che anche tu condividi e far leva sui sensi di colpa che, inconsciamente o meno, li accompagnano come un'ombra. Di certo dentro casa non possono parlare della loro bramosia di materiale pedopornografico né, nella maggior parte dei casi, autoprodurlo».
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IMPATTO EMOTIVO
Ogni componente della task force segue un suo metodo. «Ciascuno ha la propria strategia. Io mi baso sull'empatia, uso terminologia classica del pedopornografo, parlo il loro stesso linguaggio, una mimetizzazione verbale sia nel modo in cui trattano i bambini sia come discutono del materiale».
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Avviene tutti i giorni. Per mesi, per anni. «L'impatto emotivo è forte, noi abbiamo un gruppo che ci segue e ci monitora anche sotto l'aspetto psicologico. È un lavoro che non lascia insensibili, trovarsi di fronte a immagini di violenza su minori e in grande quantità mette a dura prova. Per quanto andrò ancora avanti? Nessun termine. Lo faccio da due decenni perché riesco a instaurare rapporti in rete che mi consentono di individuare queste persone. E laddove arriva la deterrenza, riusciamo ad arginare la domanda».
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Un risultato che ripaga, soprattutto se oltre a catturare i carnefici si salvano le loro prede. «Noi come polizia postale siamo all'interno di una struttura che si occupa anche dell'identificazione delle vittime. Nel giro di qualche anno siamo riusciti a dare un nome al 40% dei minori, risalendo così anche a chi ha abusato di loro».
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Se le immagini circolano sul dark web, tutto si complica. «Del resto è nato proprio per garantire l'anonimato assoluto. Per contro, però, abbiamo uno strumento normativo molto potente: siamo l'unico corpo di polizia autorizzato dalla legge ad agire sotto copertura». È l'esperienza degli agenti a fare la differenza.
«Non esiste un profilo tipo di pedofilo, è abbastanza trasversale. Se una decina di anni fa si poteva circoscrivere a un uomo di trenta, quarant' anni, anche benestante, adesso ogni possibile classificazione sfugge. Non solo, l'età delle vittime si è abbassata tantissimo. E questo mi amareggia».
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