Priscilla di Thiene per www.lastampa.it
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Li vedi chiusi in quelle gabbie e ti si spezza il cuore. Loro, abituati agli spazi immensi, fermi o in movimento, sotto pioggia, neve, sole. Loro che lavorano senza sosta, unici compagni di pecore e pastori, loro che danno la vita per proteggere il gregge. No, non è un’Ode al Maremmano o, come sarebbe più corretto chiamarli, al pastore maremmano abruzzese, è la semplice verità. Eppure, soprattutto nel centro Italia, i canili sono pieni di queste splendide creature. E questo perché non si sterilizza, si acquista o adotta con troppa superficialità. E la soluzione, alla fine, è il canile, l’inizio del loro calvario.
Ne abbiamo parlato con Cristian Evangelista, istruttore cinofilo FICCS (Federzione italiana cinofilia sport e soccorso), dog trainer per Lega Nazionale del Cane, amante e conoscitore dei Pastori Abruzzesi per i quali sta curando un progetto di tutela in collaborazione con le Asl, i comuni e i parchi del territorio aquilano.
I canili pieni
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Perché tanti maremmani chiusi in gabbia?
"I motivi sono tanti, a cominciare da quelli di ordine etico. Prima gli allevatori di pecore sopprimevano i cuccioli che secondo loro erano "di troppo", dando la precedenza ai maschi sulle femmine, e facendo una scelta in base alle caratteristiche morfologiche. Adesso, grazie a un grande lavoro di sensibilizzazione, non li uccidono più, ma una cucciolata può arrivare fino a 12 cuccioli. Abbiamo quindi il 200% di cani in più", spiega Cristian.
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Se le femmine si accoppiano due volte l'anno, i conti sono presto fatti. Alcuni cuccioli rimangono nelle aziende, altri lavorano, altri sono regalati, ma molti si allontanano, diventando così vaganti.
I cuccioli che finiscono in canile spesso trovano casa, anche se questo genere di adozioni vanno fatte con molta attenzione perché il maremmano è un cane con determinate caratteristiche e necessità. Se crescono in gabbia però il rischio è che non ne escano più, perché diventano grandi, hanno profili complessi, possono avere degli acciacchi soprattutto da adulti e non sono facili da gestire.
In più, il panorama della pastorizia oggi è diverso. "Le aziende agricole sono cambiate, sono diventate più piccole, spesso non hanno bisogno di questi cani. Non fanno più la transumanza e i cani non si spostano, non fanno allevamento estensivo (quello in cui gli animali sono completamente liberi, vivono, mangiano e dormono all'aperto) e hanno solo qualche cane, che non utilizzano per il lavoro e che proprio per questo si disperde sul territorio in quanto parte di un piccolo gruppo".
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In questo ultimo periodo stanno aumentando le richieste di pastori abruzzesi nel Nord Italia, ma a volte le persone non si rendono conto della tipologia di cane e purtroppo un'adozione sbagliata significa un rientro in canile. "In Abruzzo il pastore è visto come il cane da lavoro per antonomasia, se non hai pecore oppure terra o giardino e tante altre condizioni difficilmente viene adottato. Gli allevatori hanno il merito di aver preservato questa razza che è un’icona italiana. Adesso però stiamo creando uno sportello che li aiuti nella lotta contro il lupo, a preservare l’integrità dei cani ma anche a limitare il vagantismo".
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A pensarci bene, le soluzioni si trovano: se i pastori hanno bisogno delle femmine in calore per tenere i maschi nel branco, si possono operare chiudendo solo le tube di Falloppio, intervento grazie al quale vanno in calore senza poter procreare. Stessa cosa per il maschio, che con la vasectomia può essere reso sterile senza essere castrato. Cristian continua spiegando che bisognerebbe lavorare su più fronti, a cominciare dal territorio, evitando i rifiuti fuori dai cassonetti o di lasciare cibo in strada.
Tutto questo crea un circuito da cui non si riesce a uscire. In più, le istituzioni dovrebbero fare il loro lavoro, intervenendo e anche multando soprattutto la mancanza di custodia. E poi, microchippatura, sterilizzazione e tutti i discorsi già troppo noti. Quando un PMA finisce in canile ciò che lo fa soffrire di più è l'assenza del gruppo. "E’ un cane primitivo ama vivere in un branco, in particolare su base familiare". Gli mancano anche gli spazi, certo, ma la loro motivazione affiliativa è altissima, tant’è che riescono a creare dei legami anche in canile.
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Abramo è entrato in canile a tre anni, come cane pericoloso. Cristian ha cominciato a lavorarci e si è reso conto che era sordo. Proprio per questo probabilmente era più suscettibile. Adesso Abramo, pastore abruzzese albino e sordo, è diventato bravo con le persone e i suoi simili, va al guinzaglio e aiuta anche Cristian nelle sessioni di recupero degli altri cani perché ha sviluppato un profilo equilibrato e pro socievole. Dopo il lavoro però, torna in gabbia e proprio non si può vedere rinchiuso: ora ha quattro anni, ha bisogno di una famiglia e di un altro cane che possa fargli da guida, con un po' di spazio e movimento sarebbe un compagno di vita fantastico. (Per info su Abramo: 3490810496)
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Diversa la storia di Neve, finito in canile da cucciolo. Da subito è stato inserito in un box con altri tre cani maschi, tutti di taglia grande, con un carattere più forte del suo. Un po' loro, un po' la deprivazione di madre e fratelli ha portato questo splendido maremmano a diventare timido, anche se desideroso di conoscere la vita fuori dalle sbarre. Un cane che entra piccolo in canile purtroppo sviluppa spesso quella che viene definita "sindrome da canile", cioè la mancanza di esperienze e di scambi con persone e realtà esterna. Ma i cani hanno tante potenzialità, così anche Neve: nel posto giusto, con le persone giuste e magari un altro cane si trasformerebbe e avrebbe il coraggio di mostrare lo splendido maremmano abruzzese che è ancora nascosto dentro di lui (Per info su Neve: 3491970995 )
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Adottate dal canile, quindi, con consapevolezza, chiedendo prima bene a chi se ne occupa cosa vuol dire condividere la vita con un cane, soprattutto un pastore maremmano abruzzese.
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