Estratto dell'articolo di Francesca Caferri per “la Repubblica”
team di scienziati israeliani che cercano gli ostaggi di hamas
[…] Chi volesse vedere tutta la potenza del settore in più rapida crescita dell’economia israeliana, quell’industria del tech che ha sviluppato alcuni fra i più sofisticati programmi al mondo di comunicazioni, riconoscimento facciale, mappatura ed è responsabile – non senza polemiche – di quasi il 50% dell’export del Paese, ora dovrebbe fare un giro fra i padiglioni dell’Expo di Tel Aviv. Qui da sabato sera alcune delle menti più avanzate di Israele lavorano senza sosta per identificare, individuare e contribuire a riportare a casa le 130 persone rapite da Hamas nei kibbuz al confine della Striscia di Gaza.
karine nahoun
A guidarle c’è Karine Nahon, pluripremiata scienziata specializzata in dati e informatica, docente all’università di Washington e Tel Aviv, […] «Utilizziamo le foto fornite dai parenti, le immagini dei profili social, i video messi in rete da Hamas e quelli del deep web. I programmi di intelligenza artificiale, mappatura e geolocalizzazione. Lo scopo è uno: trovare chi è scomparso, dire alle famiglie quando sono stati visti l’ultima volta, se sono stati portati a Gaza o no. E in caso, in quali condizioni: vivi, morti, feriti».
team di scienziati israeliani che cercano gli ostaggi di hamas
Con un’unica condizione: «Non ci esprimiamo se non abbiamo la certezza assoluta […] Parliamo di vita e morte. Non sono ammessi errori». Qualcuno chiama e lei si affretta ad andare dietro i pannelli neri che dividono la stanza: e non è un buon segno. «Lì si trattano i casi delle vittime: se qualcuno la chiama è perché ha capito che la persona che cercava è morta», spiega Amit Farhmat, che nella vita fa il regista di documentari ma qui si occupa di portare in giro in giornalisti.
Il team scomparsi e quello vittime sono solo la punta di diamante del sistema messo su in poche ore dai gruppi che per 9 mesi hanno mobilitato 2 milioni di israeliani nelle proteste contro la riforma giudiziaria. In questo capannone alla periferia di Tel Aviv ci sono tutte le anime della protesta: i riservisti che rifiutando la chiamata alle armi hanno messo in crisi il governo e fermato la riforma. […] «Non so neanche da chi sia partita l’idea », dice Eitan Reisde, ufficiale della riserva navale che lavora in attesa di una chiamata. «Ma nel giro di mezza giornata eravamo tutti qui».
team di scienziati israeliani che cercano gli ostaggi di hamas
“Tutti” vuol dire i 250 del gruppo del coordinamento e 2.000 volontari: compresi quelli che ancora ieri erano in fila per farsi assegnare un compito. Una macchina di efficienza e solidarietà di fronte a cui è impossibile restare indifferenti. «Da questo governo ci divide tutto. Tornerà il tempo delle proteste, ma questo è il momento di stare uniti», conclude Farhmat.