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    L'UOMO CHE FOTOGRAFAVA LE STELLE - I CINQUANT'ANNI DI CARRIERA DI GUIDO HARARI IN UNA MOSTRA AD ANCONA, DOVE SARANNO ESPOSTI RITRATTI DI LEGGENDE DELLA MUSICA COME DE ANDRÉ, BOB DYLAN, DAVID BOWIE E LOU REED, MA ANCHE PERSONAGGI COME JOSÈ SARAMAGO E GRETA THUNBERG: "TRASFERIRE LO SGUARDO MUSICALE SU SOGGETTI CHE NON SONO DI QUEL MONDO SIGNIFICA FARLI USCIRE DALLA LORO COMFORT ZONE"


     
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    Valeria Arnaldi per “il Messaggero”

    guido harari 4 guido harari 4

     

    La visione di un Paradiso in cui cercare di entrare prima che sia chiusa la porta, come canta Bob Dylan. La magia della Factory di Warhol, che poteva creare anche icone da palco, come Lou Reed e Nico.

     

    E ancora, il cantautorato di Fabrizio De André, la festa di Woodstock - «In Italia, pensavamo fosse l'inizio di un'epoca, invece era la fine» - e l'ascolto ossessivo di questo o quel brano, ieri come oggi, a ricercare verità. E se stessi. È in un'anima rock, che sa andare ben oltre palco e partitura, il segreto della visione fotografica di Guido Harari, classe 1952. illustrata e indagata nella sua prima mostra antologica Guido Harari.

    remain in the light guido harari remain in the light guido harari

     

    Remain in Light, a cura di Denis Curti, da oggi al 9 ottobre alla Mole Vanvitelliana di Ancona - qui, in alcuni giorni, su prenotazione pure una sala dove farsi fotografare da Harari - e nell'omonimo libro, oltre 400 pagine, edito da Rizzoli Lizard.

     

    IL PERCORSO

    Ad essere ripercorsi sono cinquant' anni di scatti e incontri. L'essenza è chiara sin dal titolo, quell'invito a rimanere in luce, da un disco dei Talking Heads, che è anche esortazione del fotografo al soggetto che ritrae. Sono proprio musica e fotografia a intrecciarsi nel percorso, composto da oltre trecento scatti, installazioni, filmati originali e proiezioni, progettato dallo stesso Harari.

     

    Una sorta di autoritratto, che si fa pure racconto di più decenni, con i loro volti noti, da De André a Bob Dylan, da David Bowie ai Queen, ma anche da Josè Saramago a Greta Thunberg. Perché la musica qui non è solo soggetto delle opere, ma, più a fondo, strumento per guardare la realtà.

    pino daniele fotografato da guido harari pino daniele fotografato da guido harari

     

    «Trasferire lo sguardo musicale su soggetti che non sono di quel mondo significa provocarli, farli uscire dalla loro comfort zone», spiega Harari. «La musica mi ha catturato sin da bimbo, penso al rock di Celentano. E presto mi ha affascinato anche la fotografia. Mio padre amava immortalare i momenti importanti di famiglia. Quando l'immaginario musicale è entrato nel mio panorama, con dischi, libri, manifesti dei concerti, la fotografia mi è apparsa il mezzo per non essere più soltanto un fan». Il primo concerto è stato quello dei Beatles, a Milano, nel 1965.

    tom waits fotografato da guido harari tom waits fotografato da guido harari

     

    «È stato il mio Big Bang», confida. La prima intervista, rimasta inedita, è di pochi mesi dopo, a Shel Shapiro dei Rokes. «Quel sì è stata la pietra su cui ho costruito tutto il mio percorso, pensai che ce ne sarebbero stati molti altri». E non solo nella musica. Anche quello di Omar Sharif per il giornale della scuola. Aveva appena diciotto anni al debutto sui giornali. «Fotografai Alan Sorrenti. All'epoca, non c'erano barriere, guardie del corpo o particolari difficoltà».

    david bowie by guido harari david bowie by guido harari

     

    L'AUTENTICITÀ

    E da lì, non ha più lasciato il mondo della musica. «Quando arrivavo a fotografare gli artisti, lo facevo con il bagaglio della loro musica. Erano parte di una famiglia ideale. Ciò creava complicità. In quegli anni, più della tecnica, contava la passione». E, la visione.

     

    Nel suo caso, la capacità di liberare chi ritraeva dagli stereotipi di icona per mostrarne l'autenticità.

    fabrizio de andre e dori ghezzi fotografati da guido harari fabrizio de andre e dori ghezzi fotografati da guido harari

    «Provavo un timore reverenziale per Fabrizio De André, anche per la sua sterminata cultura. Mi ha sempre trattato con simpatia e negli ultimi anni abbiamo scoperto di avere varie passioni in comune, come quella per i libri di Saramago. Ho ritratto De André anche sdraiato contro il termosifone: è stato un grande scatto, non per la forma ma per la visione inedita che offriva, reale e non costruita»

     

    LA SCOMMESSA

    Tra gli incontri che lo hanno segnato, quelli con Lou Reed e Laurie Anderson, Pino Daniele, Mia Martini, «che ho frequentato per vent' anni». Poi, negli anni Novanta, la voglia di guardare oltre la musica. «Non dico che mi andasse stretta, ma era diventata ripetitiva. Ho avviato il progetto Italians, sulle eccellenze del Paese. Volevo fare il punto, mantenere la memoria dei personaggi che stavano scomparendo. Lo porto avanti ancora, ma oggi, sono passato alle scommesse sul futuro, come Greta Thunberg». Lontano dalle note, quindi.

     

    giorgio gaber enzo iannacci e dario fo fotografati da guido harari giorgio gaber enzo iannacci e dario fo fotografati da guido harari

    «La musica è quasi morta. C'è meno desiderio di mostrare la realtà di sé. Amo i Maneskin, come intenzione e mi inorgogliscono da italiano, ma la band, oggi, è figlia di moda e momento. Prima era diverso. Kate Bush, con cui ho lavorato per dieci anni, volle proprio che la mostrassi come persona, non più come personaggio». E così via, di volto in volto, di storia in storia, con alcuni - pochi - rimpianti. «Una foto non fatta a Warhol. Era a Milano negli anni Ottanta a inaugurare una piccola mostra in una galleria. L'evento era a inviti, cercai di intrufolarmi, fui respinto. Warhol non arrivava, pensai non sarebbe più venuto e andai via. Ho fatto male, è stata una grande lezione». Valeria Arnaldi

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